mercoledì 2 dicembre 2009

"Un'orchestra e un coro in ogni città" Il sistema 'Abreu' conquista il mondo. In Italia invece ?


Centocinquanta orchestre giovanili e 140 infantili, 250.000 tra bambini e ragazzi che hanno imparato a suonare uno strumento musicale e fanno parte di un'orchestra. Il 'sistema Abreu', cioè il progetto sociale e musicale messo a punto 32 anni fa in Venezuela da Josè Antonio Abreu e sostenuto e ammirato dai più grandi musicisti, a cominciare da Claudio Abbado, ha prodotto "una resurrezione". Ha strappato i giovani alle bande criminali, li ha riscattati da una situazione di miseria materiale e spirituale, dando loro la forza per lottare per il proprio futuro e per quello delle persone vicine.

Abreu, 65 anni, ha ricevuto il 14 all'Auditorium della musica di Roma il Premio Unicef - Dalla Parte dei Bambini, "Per aver dedicato tutta la sua vita alla tutela dell'infanzia e dell'adolescenza e per essersi distinto nelle attività di recupero, attraverso la musica, di ragazzi in situazioni di grave disagio". La premiazione è stata preceduta da 'Tocar e Luchar', il commovente documentario realizzato da un ex allievo di Abreu, oggi diventato regista, Alberto Arvelo. Ed è stato seguito dal concerto dell'Orchestra Giovanile del Venezuela 'Simon Bolivar', costituita dagli elementi migliori delle orchestre giovanili venezuelane. Sul podio il venticinquenne Gustavo Dudamel, egli stesso un prodotto del sistema Abreu, considerato dalla critica internazionale "il più interessante nuovo direttore del pianeta", e, il giorno successivo, il 15, Claudio Abbado.

Mentre gli economisti di tutto il mondo si stanno domandando se davvero gli aiuti stanziati negli anni siano serviti allo sviluppo dei Paesi più poveri, e se i complicati progetti delle organizzazioni internazionali abbiano mai prodotto un qualche risultato, il sistema Abreu fa tornare in mente un antico detto cinese: "Se dai un pesce ad un uomo, si nutrirà una volta. Se gli insegni a pescare, mangerà tutta la vita. Se i tuoi progetti valgono un anno, semina il grano. Se valgono cent'anni, istruisci le persone".

Istruirle, farle diventare "persone di valore". "Se qualcuno mi chiedesse dove in questo momento sta succedendo qualcosa di veramente importante per il futuro della musica classica, io risponderei subito in Venezuela", ha detto recentemente Simon Rattle, il direttore d'orchestra inglese alla guida dei Berliner Philharmoniker. Tra i tanti estimatori del sistema Abreu, oltre che Abbado e Rattle, ci sono anche Placido Domingo e Giuseppe Sinopoli, il grande direttore scomparso qualche anno fa. E, tra i non musicisti, anche Roberto Benigni e Nicoletta Braschi, che il 15 all'Auditorium si sono congratulati personalmente con Abbado, Dudamel e con l'orchestra.

Abreu era partito con l'idea di riscattare i giovani del suo Paese e in ultima analisi il futuro stesso del Venezuela, ma la 'Fundaciòn del Estado para el Sistema de Orquesta Juvenile e Infantil de Venezuela' è diventata molto di più, un modello per l'intero Sudamerica e in ultima analisi per tutti i Paesi, anche quelli 'ricchi' dell'Occidente. A fronte del crescente disinteresse nei confronti della musica, l'entusiasmo dei giovani venezuelani, la loro bravura, costituisce un'indicazione luminosa. Tanto che le istituzioni musicali più sensibili, a cominciare dall'Accademia Nazionale di Santa Cecilia, si stanno già impegnando già da qualche anno per la costituzione di cori e di orchestre giovanili.

Suonare in un'orchestra, spiega infatti il maestro Abreu, è molto di più di studiare la musica. Significa "entrare in una comunità, in un gruppo che si riconosce come interdipendente", perseguire insieme uno scopo. Ecco perchè cambia la vita. Una lezione che Antonio Abreu ha appreso da suo nonno, un italiano che arrivava dall'isola d'Elba. "Mio nonno, Antonio Anselmi Viberti, era un musicista, il direttore della Banda dell'Isola d'Elba, ed è arrivato in Venezuela nel 1897, portando con sè 46 strumenti a fiato. A Monte Carmelo, dove si era stabilito, ha fondato una banda musicale. Si occupava anche degli arrangiamenti: trascriveva Verdi, Rossini...".

E' per questo retaggio familiare che dunque ha pensato che la musica potesse cambiare il futuro dei giovani del suo Paese?
"Ho voluto insegnare la musica ai bambini perchè sono un musicista, e non mi piaceva che la musica fosse ridotta a un passatempo per le minoranze, fosse diventata qualcosa d'elite. All'inizio il mio era soltanto un progetto sociale per i bambini poveri, ma l'entusiasmo con il quale è stato accolto mi ha spinto a farlo diventare un vero e proprio progetto musicale".

Come ha fatto a trovare i finanziamenti, in un Paese con le difficoltà del Venezuela?
"Ho chiesto i soldi allo Stato. Li ho sempre ottenuti. Nessun governo mi ha fatto mancare il suo sostegno".

Neanche l'ultimo?
"Neanche l'ultimo, anzi, il sistema sta andando avanti. Il nostro obiettivo è che ogni città, ogni paese del Venezuela abbia la sua orchestra e il suo coro. E stiamo anche promuovendo lo stesso progetto negli altri Paesi dell'America Latina".

Essere un economista, oltre che un musicista, l'ha aiutato in questi 32 anni?
"Sicuramente, nel redigere i bilanci, nel tenere conto dei budget effettivi".

Quanto costano le orchestre e le scuole di musica che fanno capo al sistema venezuelano?
"Quaranta milioni di euro l'anno, la stessa cifra che viene spesa, per esempio, dal Teatro Massimo di Palermo".

Il suo progetto ha avuto successo dall'inizio, non ci sono stati abbandoni da parte di qualcuno dei ragazzi che vi hanno aderito?
"Mai, non è mai successo".

E davvero imparare a suonare ha permesso a tutti di trovare una propria strada nella vita?
"Sì, perchè la musica permette di crescere spiritualmente e mentalmente. E' l'arte che riesce a riconciliare la volontà e l'anima. Il giovane diventa artista ed ottiene un riconoscimento sociale, diventa l'orgoglio della famiglia e ha il suo riscatto".


http://www.bandagverdisinnai.it/Musica%20in%20Venezuela.htm

martedì 1 dicembre 2009

PROPOSTA LEGGE QUADRO NAZIONALE CARLUCCI - BARBARESCHI




CAMERA DEI DEPUTATI
PROPOSTA DI LEGGE N. 136

PROPOSTA LEGGE QUADRO PER LO SPETTACOLO DAL VIVO

( INTEGRAZIONI)

FORMAZIONE

Sostituire l’articolo 3 comma 1, lett. g) con
Ferma restando la competenza delle Regioni in materia, definire gli indirizzi generali per la formazione del personale artistico, tecnico e amministrativo, e degli addetti ai servizi culturali delle regioni e degli enti locali, promuovendo un coordinamento nazionale delle iniziative formative nell’ambito dello spettacolo al fine di elaborare linee condivise di intervento;

Aggiungere all’articolo 5, comma 1 lett. d)
…,provvedendo inoltre ad operare una ricognizione periodica delle professioni e dei mestieri dello spettacolo con una particolare attenzione verso i nuovi profili al fine di meglio indirizzare i progetti formativi;

FONDAZIONI LIRICO SINFONICHE

Sostituire l’articolo 6, comma 3 con i seguenti:
1. Alla luce della precaria situazione economico gestionale in cui versano le fondazioni lirico sinfoniche riconosciute ai sensi della legislazione vigente, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento e con le modalità espressamente previste e disciplinate per legge, il Governo, d’intesa con la Conferenza unificata, provvede ad adottare un decreto legislativo recante il riordino del settore.
2. Il riordino si rende necessario per incrementare e migliorare la produttività delle fondazioni lirico sinfoniche chiamate a promuovere, sulla base delle funzioni riconosciute alle singoli istituzioni, la più ampia diffusione e valorizzazione del patrimonio, l’innovazione ed i nuovi talenti, in un’ottica di contenimento dei costi e di una diversa responsabilizzazione dei soci e degli organi statutari per salvaguardare le finalità dell’investimento pubblico.
3. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1, il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi che dovranno essere recepiti dagli statuti delle fondazioni lirico sinfoniche e dai regolamenti attuativi della Pubblica Amministrazione:
a) armonizzazione delle disposizioni legislative succedutesi in materia;
b) introduzione del voto ponderato per i soci nel consiglio di amministrazione, con attribuzione della scelta del presidente al socio con il maggior apporto finanziario;
c) nomina del sovrintendente da parte del consiglio di amministrazione su proposta del presidente, quale responsabile delle funzioni di pianificazione, organizzazione e gestione della struttura e del bilancio;
d) nomina del direttore artistico da parte del consiglio di amministrazione su proposta del presidente, quale responsabile della linea artistica e della definizione dei progetti, di concerto, per la parte economica e gestionale, con il sovrintendente;
e) previsione del commissariamento delle fondazioni lirico-sinfoniche in assenza, entro ventiquattro mesi, del pareggio di bilancio, con l’obbligo dei soci di ripianare in solido;
f) prolungamento delle stagioni, promuovendo l’attività di nuovi cantanti lirici, compagnie, orchestre e cori giovanili, concertistica, danza e contaminazioni con la musica extracolta, pienamente accessibile al pubblico di ogni fascia di reddito;
g) previsione di realizzazione di tournée sul territorio regionale, nazionale, europeo ed internazionale, attraverso progetti di coproduzione con istituzioni musicali italiane e analoghi soggetti stranieri;
h) partecipazione all’istituenda conferenza di servizi presso il Ministero per i beni e le attività culturali per la condivisione di informazioni e di materiali utili per l’ottimizzazione degli investimenti e per il coordinamento e la promozione dell’attività a livello nazionale ed internazionale;
i) intervento economico dello Stato riferito al progetto artistico e ai costi connessi, con esclusione dei costi fissi di gestione e del personale in pianta stabile, di cui andrà ridefinita la contrattazione collettiva e la dotazione organica, a carico della regione e degli enti locali in cui ha sede la fondazione lirico sinfonica;
j) prioritario riferimento dell’intervento statale al numero delle produzioni, al pubblico pagante, al numero di repliche assicurato, alla presenza di interpreti italiani, alla capacità di avviamento professionale artistico e tecnico e di rinnovamento della scena artistica, all’attività svolta in coproduzione, alla capacità del progetto di ampliare la diffusione della lirica sul territorio cittadino, regionale, nazionale e internazionale e di rivolgersi alle scuole, ai giovani e agli anziani anche attraverso la creazione di compagnie giovanili per la ripresa del repertorio, nonché alla sana gestione economica.
k) autonomia giuridica, organizzativa ed economica dei corpi di ballo già appartenenti alle fondazioni lirico-sinfoniche, con la compartecipazione delle regioni e degli enti locali, cui destinare una quota delle risorse del Fondo unico dello spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163 nell’ambito della quota percentuale destinata alla danza;
l) ridefinizione dell’elenco delle fondazioni lirico sinfoniche già riconosciute secondo criteri di territorialità e di bacino di utenza, favorendo integrazioni utili a garantire, oltre la razionalizzazione e la maggiore efficacia dell’investimento pubblico, un qualificato servizio socio culturale alle aree geografiche prive di soggetti di riferimento.

RIFORMA DEL FONDO UNICO DELLO SPETTACOLO

Articolo 6 bis (ex novo)
1. Entro due anni dall’entrata in vigore del presente provvedimento e con le modalità espressamente previste e disciplinate per legge, il Governo, d’intesa con la Conferenza unificata, provvede ad adottare un decreto legislativo per la riforma del Fondo Unico per lo spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1, il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:
a) allo scopo di limitare l’impegno finanziario dello Stato e di offrire maggiori garanzie ai soggetti destinatari degli interventi, il sistema di alimentazione del Fus è modificato prevedendo che al raggiungimento dell’ammontare del fabbisogno effettivo, determinato su base triennale, oltre al relativo stanziamento da parte dello Stato, concorrano anche le seguenti fonti di finanziamento:
 il 25% dei fondi derivanti dalle estrazioni infrasettimanali del gioco del lotto;
 il 50% dei fondi gestiti dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato relativi ai premi non riscossi del gioco del lotto e delle lotterie nazionali;
 l’impiego dei fondi non ripartibili incassati dalla Società` italiana degli autori ed editori;
 il prelievo alla fonte del 5% delle risorse che le società erogatrici di servizi di pubblica utilità destinano annualmente a iniziative promozionali e pubblicitarie;
 una percentuale, stabilita con il medesimo decreto legislativo, dell’intero ammontare delle entrate del sistema audiovisivo pubblico;
 una percentuale, stabilita con il medesimo decreto legislativo, delle somme derivanti da atti di convenzione stipulati con il sistema delle fondazioni bancarie;
 i fondi dell’Unione europea destinati allo spettacolo dal vivo.
b) esclusione delle fondazioni lirico sinfoniche dal FUS, con costituzione di un fondo speciale sul bilancio del Ministero per i beni e le attività culturali.

PARAMETRI DI VALUTAZIONE DELL’ATTIVITA’ (REFERENCE SYSTEM)

Articolo 13, comma 7 bis (ex novo)
Per la valutazione di cui al comma 7, lett. b) i comitati tecnici dovranno tenere conto dei criteri automatici fissati con apposito decreto ministeriale e dei relativi valori percentuali per un’incidenza complessiva non superiore al 50% - 70% (?) della valutazione finale. Rientrano tra i criteri:
a) di carattere generale:
 la direzione artistica ed organizzativa;
 l’identità e la continuità del nucleo artistico e tecnico;
 il progetto artistico già realizzato;
 l’innovazione dell’offerta culturale attraverso l’integrazione delle arti sceniche, la messa in scena di nuovi autori e l’impiego di nuovi talenti sia in campo artistico che tecnico;
 la tenitura degli spettacoli;
 l’attenzione rivolta al mondo della scuola e dell’università, ai ceti meno abbienti ed alle aree del disagio sociale;
 la sana gestione economica in termini di rapporto fra entrate ed uscite e fra entrate di bilancio ed intervento pubblico;
 la capacità imprenditoriale di reperire risorse da privati ed enti locali territoriali;
 il numero degli spettatori paganti;
 l’impiego delle nuove tecnologie e l’utilizzazione dei suoi strumenti di comunicazione e diffusione per la più ampia fruizione;
b) di carattere specifico per le attività con carattere di stabilità:
 la prevalenza dell’attività produttiva e la costante presenza sul proprio bacino di utenza;
 la presenza di una compagnia/complesso di giovani interpreti per la ripresa del proprio repertorio;
 cicli di spettacoli rivolti agli studenti e più in generale al pubblico meno abbiente;
c) di carattere specifico per le attività con carattere itinerante:
 la presenza diffusa sul territorio nazionale, con particolare attenzione alle aree meno servite;
 la presenza di una compagnia/complesso di giovani interpreti per la ripresa del proprio repertorio;
d) di carattere specifico per le attività di esercizio e di promozione e formazione del pubblico:
 l’offerta multidisciplinare di spettacolo;
 lo spazio riservato alle nuove proposte ed alle nuove formazioni;
 la durata temporale dell’attività nell’anno solare;
 la tipologia e la tempistica dei compensi corrisposti alle produzioni ospitate;
 cicli di spettacoli rivolti agli studenti e più in generale al pubblico meno abbiente;
 momenti di informazione e di preparazione agli eventi idonei a favorire la cultura dello spettacolo dal vivo;
 l’efficacia della presenza sul territorio cittadino e regionale.

ISTITUZIONE DEL FONDO PEREQUATIVO
Articolo 7 bis (ex novo)
1. E’istituito il Fondo perequativo per lo spettacolo dal vivo, di seguito denominato Fondo perequativo, gestito dal Ministero per i beni e le attività culturali e le cui risorse sono destinate:
a) allo svolgimento di un’azione di riequilibrio in favore delle aree territoriali nelle quali gli interventi per la diffusione dello spettacolo dal vivo risultano inadeguati, anche attraverso la realizzazione di specifici progetti di promozione e di sensibilizzazione da realizzare di intesa con le regioni, le province, le città metropolitane e i comuni direttamente interessati;
b) la realizzazione o la ristrutturazione, con criteri comprensoriali, di infrastrutture di dimensioni adeguate al bacino di utenza di riferimento e con caratteristiche tecniche atte a garantire la fruizione di ogni forma di spettacolo dal vivo e riprodotto, anche attraverso la promozione di accordi di programma con ARCUS Spa.
2. Al finanziamento del Fondo perequativo, per il primo triennio di applicazione della presente legge quantificato in 15 milioni di euro annui, si provvede mediante corrispondente riduzione della quota del fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) riservate al Ministero per i beni e le attività culturali per il periodo 2007- 2013.

ISTITUZIONE DEL FONDO PER LA CREATIVITA’
Articolo 8 bis (ex novo)
1. E’istituito il Fondo per la creatività, le cui risorse sono destinate alla promozione e sostegno di nuovi talenti dello spettacolo dal vivo, alla loro formazione ed alla realizzazione delle loro creazioni. Le risorse del fondo sono assegnate alle regioni e da queste erogate esaminando e coordinando i diversi progetti che dovranno avere considerazione autonoma e dettagliata nei bilanci delle imprese proponenti.
2. Alla dotazione del fondo, per il primo triennio di applicazione della presente legge quantificato in 15 milioni di euro annui, si provvede mediante corrispondente riduzione della quota del fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) riservate al Ministero per i beni e le attività culturali per il periodo 2007- 2013.
3. Nell’ambito del fondo, 10 milioni di euro annui sono riservati al finanziamento di progetti destinati all’innovazione interdisciplinare, alla promozione ed al sostegno di giovani autori teatrali, compositori o gruppi musicali e di danza ed alla realizzazione delle loro opere, 2,5 milioni di euro annui per borse di studio a ricercatori di tecniche e linguaggi dello spettacolo dal vivo, 2,5 milioni di euro annui per la promozione della musica extra colta e del teatro amatoriale mediante il sostegno all’attività delle associazioni più rappresentative ed agli organismi di formazione di autori ed interpreti di musica extra colta contemporanea.
4. Per il conseguimento degli obiettivi inerenti l’innovazione interdisciplinare, si dovrà tener conto particolarmente dell’attività di ricerca di nuovi linguaggi e di realizzazione di nuove modalità di contaminazione dei generi, del coinvolgimento di partners non tradizionali, della promozione della mobilità degli artisti in ambito nazionale e internazionale, e della creazione di presidi culturali in aree poco servite o socialmente disagiate per privilegiare la relazione sociale e l’incontro artistico tra platea e scena.

P.S.
Non appare opportuno introdurre nel prossimo futuro la distinzione tra imprese internazionali, nazionali e territoriali (peraltro la riscrittura del sistema comporterà la definizione di nuove mission), che potrebbe riaccendere i contrasti nel mondo degli operatori e tra lo Stato e le Regioni.

L’impostazione della proposta di legge supera tutto ciò coinvolgendo il sistema delle autonomie locali in ogni fase del processo decisionale inerente lo spettacolo dal vivo, così evitando la pericolosa frantumazione di competenze e risorse.

CHI E' SANDRO BONDI


Sandro Bondi, da un anno sfonda il video…e non soloDa circa un anno vediamo comparire in video molto spesso, praticamente ogni giorno, un pacato personaggio. Rassicurante, aria filosofica, modesto. Sandro Bondi è il suo nome. La sua storia viene da lontano e ci porterà lontano. Bondi ha 44 anni, una laurea in filosofia, insomma un uomo di cultura. Nel 1990 fu sindaco del PCI a Fivizzano. Poi i socialisti rovesciarono il governo cittadino e Bondi rimase senza lavoro. Infatti, il PCI, gli offrì la possibilità di vendere polizze a vita della UNIPOL nella metropoli di Aulla. Ma per gli amanti del destino, e di Bondi, proprio a Fivizzano, nella zona di La Spezia, aveva preso dimora lo scultore Pietro Cascella che scelse per propria dimora il castello della Verrucosa. Cascella piaceva molto al PCI, tanto che nel periodo in cui l’Unione Europea era rossa, ebbe l’onore di edificare gigantesche sfere e mezze sfere inneggianti alla resistenza, all’amicizia, all’uomo, per poi esaltarsi nella costruzione di una volta celeste di un Mausoleo commissariatogli da un ricco industriale brianzolo, certo Silvio Berlusconi, per la sua villa in Arcore. Bondi, da subito affascinato dalla figura e dalla persona di Berlinguer, era un tipo dal giusto fiuto, divenne subito un estimatore di Cascella. Questi lo portò ad Arcore, dove il Signore della Villa decise subito di assumerlo come suo segretario particolare. Bondi si stabil’ ad Arcore e fu consigliere sicuramente più discreto rispetto ad uno stalliere che lo precedette da quelle parti. Lavorava sodo, molto bene. Dopo anni di apprendistato, venne eletto alla Camera, e da circa un anno, gode di almeno una apparizione televisiva giornaliera definendo Belusconi santo, la resistenza un grosso sbaglio, il libero mercato il massimo possibile, la sinistra un disastro. Sandro Bondi, un miracolo firmato Berlusconi.

http://www.lariflessione.com/sandrobondi.htm

POLEMICA BARICCO: LA POSIZIONE DEL MINISTRO BONDI


Anche il ministro per i Beni culturali ieri ha letto il lungo articolo di Alessandro Baricco sulla Repubblica. E anche lui per un attimo è parso esultare alla ricetta del romanziere torinese: basta soldi pubblici alla cultura, foraggiamo piuttosto la televisione e la scuola, e invitiamo i privati a rimboccarsi le maniche per lanciarsi nel mercato culturale. Ottima idea. Solo che, a seguirla in dettaglio, l’“utopia” di Baricco, diversamente da quanto lo stesso scrittore ritiene, continua a rimanere tutta nella sua testa, visto che non è facile, e neppure auspicabile, trasformarla in realtà. “Baricco critica la cultura di sinistra. E’ paradossale che debba essere io a difendere lo stato culturale. Ogni giorno da sinistra e da destra ricevo inviti che oscillano tra il sostenere la cultura in toto, e la tesi più fosca di privare la cultura di ogni sussidio”, avverte Sandro Bondi in una pausa del vertice franco-italiano a Villa Madama, dove ha firmato un accordo per aprire anche il mercato italiano ai canali culturali di Arte, la tv franco-tedesca.

"Chi è reponsabile del patrimonio storico-artistico nazionale deve perseguire un punto di equilibrio, che consiste nel diminuire per gradi il contributo statale in quei settori dove dev’essere meno presente, come il cinema o l’arte contemporanea, e aumentare il contributo dei privati con defiscalizzazioni ad hoc”. Insomma, quand’anche Baricco avesse ragione, non si deve fare di tutt’erba un fascio. Giustissimo “allargare il privilegio della crescita culturale”, tenendo conto dei nuovi circuiti di massa. Sacrosanto “difendere alcuni repertori che non avrebbero la forza di sopravvivere alla logica del profitto”. Legittimo aggiornare la formazione di “cittadini colti, informati, e con saldi punti di riferimento”.

Attenzione, però, a non confondere ogni cosa sotto la voce “cultura” come sembra fare Baricco quando propone di abbandonare al mercato settori delicatissimi come l’opera lirica, la musica classica e il teatro, con la scusa che ormai si fanno solo spettacoli orribili e i drammaturghi non esistono più. “Baricco forse non va molto a teatro. Non avrà mai visto la trilogia della Villeggiatura di Goldoni con regia di Toni Servillo o uno spettacolo di Massimo Castri. Ma il fatto è che il teatro di prosa, la lirica, la danza non consentono redditi da impresa. Per questo è sbagliato confonderli con altri campi dove il business è possibile, come le mostre, i grandi eventi, il cinema. Restano forme d’arte tradizionali, legate al mecenatismo, nate dalle società di corte e perpetuate grazie alle sovvenzioni di stato quando i prìncipi e le società di corte son stati sostituiti dalla repubblica e dallo stato di diritto. Del resto, l’Italia non fa eccezione: dall’America al Giappone, dalla Corea al Regno Unito, passando per Francia, Germania, Russia e Cina non c’è paese al mondo che non le sovvenzioni”.

Eppure, Baricco denuncia “l’accanimento terapeutico su un pubblico agonizzante”. Obietta che non spetta alla politica salvare regie che costano milioni, o il corpo di ballo della Scala o l’opera di Stockhausen.“E’ giusto affinare i criteri di selezione degli impresari culturali, sottraendoli alle mafie politiche per evitare gli sprechi”, replica Bondi. “Ma è assurdo pretendere di ripristinare l’educazione musicale nei licei, da dove fu bandita ai tempi dell’Unità, e demandare poi ai privati l’allestimento della Tosca. Urge un’analisi meno superficiale delle strutture culturali. Gli italiani possono pure impazzire per il Grande fratello, ma hanno tutto il diritto di godersi Molière, Shakespeare, Pirandello, Verdi e Cimarosa, e di tramandarsi gli affreschi di Piero della Francesca”.

http://www.ilfoglio.it/soloqui/1928

sabato 7 novembre 2009

LA NOSTRA ORCHESTRA: LETTERA APERTA AI CITTADINI E A BOLOGNA

Siamo un gruppo di cittadini che da anni seguono i concerti della Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, orgogliosi del successo che riscuote in Italia e all’estero e apprezzandone le doti musicali e il grande impegno.
E’ un piacere andare ai concerti e constatarne ogni volta la grande qualità e la passione di chi li esegue, passione qualità e professionalità che traspaiono dalle magistrali e spesso commoventi esecuzioni delle opere.
Tutte qualità - sia detto per inciso – che non sembrano proprio essere dipendenti da questioni quali il “monte ore” previsto o in generale delle norme inserite nel contratto sottoscritto tra i professori d’orchestra e la Fondazione del Teatro Comunale di Bologna, ma che trovano fondamento in anni e anni di rigorosa selezione, studio e dedizione.

A fronte di questa grande ricchezza della nostra città ci stupisce questo continuo e quotidiano stillicidio nei confronto degli artisti – perché questo sono – che suonano nella Orchestra.
Ci sono molte cose che non ci sono chiare e che come cittadini abbiamo il diritto di conoscere.
Prima questione fra tutte che non riusciamo a comprendere perchè il Sindaco della nostra città, che noi rispettiamo, non rispetta a sua volta questa grande ricchezza che per la città di Bologna rappresenta l’Orchestra del Teatro Comunale.
Sappiamo che c’è crisi –chi non lo sa-, sappiamo che i musicisti dedicano la loro vita professionale al lavoro che gli viene commissionato, sappiamo anche che si reclama il sacrificio da parte loro rispetto ad uno stipendio che però è molto lontano dagli stipendi di chi amministra e dirige l’orchestra stessa.
E allora vorremmo sapere perché vengono addebitati ai lavoratori le assunte difficoltà economiche della Fondazione quando gli orchestrali nulla hanno a che fare (ora come in passato) con la gestione della Fondazione stessa, con la gestione delle risorse e con le scelte nelle spese, negli investimenti e nella stessa direzione. I professori d’orchestra sono semplicemente dei dipendenti che vanno valutati sulla base della qualità della prestazione e del risultato artistico e solo su questo possono essere richiamati o fatti oggetto di valutazione.
Quindi chiediamo a questa città ed anche –ma non solo – a chi la amministra, il perché della evidente volontà di affondamento della nostra prestigiosa Orchestra.
E non ci si dica che non è vero perché le parole senza i fatti non parlano: la verità sul punto - francamente poco controvertibile - ci sembra davanti agli occhi di tutti: disdettare un contratto od un impegno preso per il pagamento dei premi che costituiscono parte integrante del contratto oppure cancellare una convenzione con un cartellone di concerti già programmato e continuamente gettare discredito sui componenti dell’Orchestra, che ben poco possono fare in ordine alle scelte di gestione e di programmazione, significa anche, se non in primo luogo,volere creare disinformazione, confusione e disaffezione dei cittadini.

E poi, visto che ormai si usa così, ci permettano il nostro Sindaco, l’assessore Sita, il sovrintendente Tutino, di porre queste 10 modestissime domande, sperando di ricevere sul punto una risposta non tanto perché a noi dovuta ma, e soprattutto, perché dovuta alla città, alle migliaia di cittadini che amano questa Orchestra e che chiedono, magari nel silenzio dei corridoi alla fine dei concerti oppure mentre vedono i musicisti all’uscita del teatro che si comunicano il loro disagio, di rendere maggiormente chiaro il progetto che questa Amministrazione e questa Fondazione hanno

Per capirci, cosa si vuole fare di un bene pubblico tanto prezioso?

LE 10 DOMANDE


1) Come mai il Sovrintendente, invocando un regime di austerità, decide di ridurre parte del salario dei dipendenti tutti, attraverso un meccanismo che esonera da questa riduzione lui e i dirigenti del Teatro?

2) Come mai il Sovrintendente ha scelto di programmare una stagione d’opera, in un momento di difficoltà economica grave, fatta esclusivamente di nuove produzioni, ancorchè in collaborazione con altre Fondazioni? E come mai non sono stati utilizzati i precedenti e apprezzati allestimenti?

3) I fondi che giungono alla Fondazione Teatro Comunale, (fondi statali, fondi regionali, fondi privati) che flessione hanno subito, se l'hanno subita, negli ultimi cinque anni?

4) Come mai il Sovrintendente continua a riferirsi, nel parlare dello stipendio dei professori d’orchestra, al costo aziendale, anziché anche solamente del lordo effettivamente percepito, aumentando così di un terzo circa la percezione che il lettore medio di un giornale può avere dello stipendio degli stessi professori d’orchestra?

5) Come mai è stata interrotta da parte della Fondazione, di fatto impedendone l’attività, la convenzione con una associazione (la Filarmonica del Teatro comunale di Bologna) che, senza un euro di contributo da istituzioni pubbliche e basata sull’associazionismo di circa 1800 cittadini, produce cultura per tutta la città?

6) Come mai il Presidente della Fondazione è così solerte nel chiudere l’attività di una associazione privata – quale la sopra nominata Filarmonica - che per convenzione porta alle casse del teatro il 3% di tutti i propri introiti, in un momento in cui si reclama una mancanza di fondi a disposizione della Fondazione?

7) Come mai a giudicare della presunta concorrenzialità della Filarmonica del Teatro comunale di Bologna è un organo quale il Cda della Fondazione al cui interno siede il presidente del Bologna Festival che svolge - questa si - attività concorrenziale all’attività della stagione sinfonica del Teatro Comunale?

8) Come mai la nuova stagione d’opera ricorre all’utilizzo di numerosi artisti provenienti dalla “Scuola dell’Opera” senza che questo venga in nessun modo dichiarato nel programma generale, vendono di fatto spettacoli che non sono all’altezza di un grande teatro con la storia del Teatro Comunale di Bologna e senza che tutti gli spettatori ne siano al corrente in sede di scelta?

9) Quali sono i costi della “Scuola dell’Opera” sostenuti dalla Fondazione?

10) Come vengono utilizzati i fondi ed in particolare come incidono le decisioni sugli allestimenti, le scelte di programmazione, gli incarichi esterni, nell’organizzazione delle attività della Orchestra (concerti, opere, ecc.) e nel bilancio della Fondazione?



Donatella Ianelli – avvocato
Claudia Cocchi - imprenditore
Francesca Pozzebon - avvocato
Prudence Crane – professoressa di Inglese
Carlo Zandi – imprenditore
Angelo Antonio Fierro – medico
Vania Zanotti – dipendente cooperativa sociale
Fabio Albano – psicologo
Giampaolo Cocchi – imprenditore
Stefano Domenichini - imprenditore
Alessandra Tondi - architetto
Gigliola Di Cecco – impiegata
Adriana Rotolini – pensionata
Giudo Fuschini - medico
Nadia Fantini – architetto
Luca Tondi – geologo
Raffaele Battaglia - architetto
Cecilia Domenichini - studentessa


Per chi intende aderire a questo appello:
lanostraorchestra@gmail.com

domenica 5 aprile 2009

Baricco è mobile muta d'accento e di pensiero

Da icona festivaliera di Walter V. che non ha disdegnato soldi pubblici, a denigratore della stessa e cantore del mercatismo. In questa capriola “mastelliana”, scavalca persino il McMinistro Bondi. Il Berlusconi della cultura vuole sponsorizzare i settori in cui ha il suo core-business: la musica e i libri in tv, nelle scuole e il teatro di massa.

Alessandro Baricco ha ragione quando sottolinea la necessità di ripartire dal “pubblico” inteso come destinatario, come soggetto attivo e materiale, e non come attributo spirituale, oggettivo, di un bene patrimoniale non meglio identificato. Prendiamo ad esempio Benigni e la Rai, come può essere un bene pubblico un artista che costa così tanto da poter essere pagato solo con una concessione sui diritti che la Rai ha su di lui? Baricco ha ragione quando dice che bisogna aprire al mecenatismo privato e investire per la cultura in tv. Il Riformista non può avere preclusioni verso gli sponsor privati, né snobismi mediatici.

Serve apertura mentale e risultati e Baricco può garantire entrambi. Quindi ci troviamo d’accordo con lui. Anzi, siamo così d’accordo da avere l’impressione che lui sia d’accordo con noi. Presunzione che genera un presentimento: che Baricco abbia ragione da vendere perché vuole rivenderci le nostre ragioni, rivenderci un nuovo se stesso, attraverso un risposizionamento degno di Mastella: da democristiano e cristianodemocratico, dal Pd al Pdl, da uomo di sinistra berlusconiana a berlusconiano di sinistra, da icona veltroniana ad ariete di Brunetta.

Dopo aver ricevuto anche lui, che ha mercato e potere mediatico da non necessitarne, contributi pubblici (RaiCinema e MiBac) per il suo imbarazzante film Lezione 21, uscito qualche mese fa, si mette in scia ai fustigatori degli aiuti di stato alla cultura. Sputa nel piatto in cui ha mangiato. E non per denigrare e basta. Ma per tirare a lucido il piattino. Fare nuovi soldi.

Riassumiamo brevemente i due punti della proposta di riforma culturale di massa di Baricco. Il primo: non dare soldi pubblici ai teatri stabili, ma finanziare teatri nelle scuole (evidentemente per lui l’Attimo fuggente è la storia di un grande sogno, non di un ragazzo suicida perché il padre non gli lascia fare il teatro verso cui lo spinge un professore frustrato). Secondo punto: dare soldi pubblici perché in tv si facciano programmi culturali (Per un pugno di libri dimostra che si può fare cultura divulgativa sui libri con pochi soldi e ottimi risultati, ma forse Baricco non lo guarda, come non legge le recensioni di Giulio Ferroni ai suoi romanzi, pur lamentandosi che Ferroni non lo recensisce mai).

Sono illuminanti alcune reazioni su Baricco. Sorvoliamo sui plausi di Muti, «gli sprechi ci sono», e i fischi di Piovani, «toglieteli il vino», per focalizzarci su alcune reazioni a destra. Gabriella Carlucci gli ha dato il benvenuto nel gruppo (di nostalgisti di Forza Italia), chiedendogli di scusarsi per il ritardo. Luca Barbareschi gli ha rinfacciato di «aver fatto teatro a botte di sovvenzioni». Sandro Bondi, invece, si sente scavalcato. Avete capito bene. Il ministro che ha assegnato la valorizzazione dei Beni culturali in mano al manager di McDonald, Mario Resca, si sente costretto a frenare il futurista Baricco (convinto che la qualità migliore del pensiero, oggi, sia la velocità). Al Foglio, Bondi ha mostrato tutto il suo stupore: «È paradossale che debba essere io a difendere lo stato culturale». Poi «Baricco forse non va molto a teatro. Non avrà mai visto la trilogia della Villeggiatura di Goldoni con regia di Toni Servillo (…) il teatro di prosa, la lirica, la danza non consentono redditi da impresa. Per questo è sbagliato confonderli con altri campi dove il business è possibile, come le mostre, i grandi eventi, il cinema». Conclude Bondi - ineccepibile - che «è assurdo pretendere di ripristinare l’educazione musicale nei licei, bandita ai tempi dell’Unità, e demandare poi ai privati l’allestimento della Tosca. Urge un’analisi meno superficiale delle strutture culturali». Canaglia di un vecchio comunista, avrà pensato Baricco. Più bondiano di Bondi, cioè più berlusconiano del più berlusconiano degli italiani (Fede è più leale ma meno sentimentale). Baricco è “berluscavolini”. Il più amabile tra gli italiani. Qual è la canzone che intona il Duca di Mantova alla fine del Rigoletto di Verdi? Baricco è mobile, qual piuma al vento, muta d’accento e di pensiero…

Di fronte al paradosso di Bondi, passano in secondo piano, anche se la sequenza è da spaghetti western, i colpi inferti sul cadavere veltroniano. Abbattuto e incartato con un giornale che gli fu amico, Repubblica, e ha supportato gli eventi della gestione veltroniana dove Baricco era spesso la star. Se fosse un film western, allora, Baricco non sarebbe il pistolero, ma il barman che offre da bere al vincitore. Passa in secondo piano anche il revisionismo istantaneo su Berlusconi: «Ho un esempietto - dice Baricco - che può far riflettere, fatalmente riservato agli elettori di centrosinistra. Berlusconi. Circola la convinzione che quell’uomo, con tre televisioni, più altre tre a traino o episodicamente controllate, abbia dissestato la caratura morale e la statura culturale di questo Paese dalle fondamenta: col risultato di generare, quasi come un effetto meccanico, una certa inadeguatezza collettiva alle regole impegnative della democrazia. Nel modo più chiaro e sintetico ho visto enunciata questa idea da Nanni Moretti, nel suo lavoro e nelle sue parole. Non è una posizione che mi convince (a me Berlusconi sembra più una conseguenza che una causa) ma so che è largamente condivisa, e quindi la possiamo prendere per buona».

Il punto non è che Baricco minimizzi o simuli di minimizzare il berlusconismo. E neanche il riposizionamento. Ma il disvelamento spudorato di quello che Baricco è, che è sempre stato. Un Berlusconi della cultura. Oggi più che mai. Come campione di egemonia commerciale e come cavalier servente di se stesso. E dei suoi interessi. Baricco parla di libri in tv, cultura a scuola e teatro di massa come Berlusconi parla della tv e della giustizia. A ragion veduta.

Qualche esempio? Totem, trasmissione di libri e musica in tv che poi è diventata un tour teatrale, e poi operazioni para-scolastiche come Omero. Iliade e la Scuola Holden, dove c’è una sezione “Per le scuole” (http://www.scuolaholden.it/sholden/corsi_link.aspx?ID=437&NodeId=53) che è tutta un programma: «Se sei un professore, e ti interessa proporre uno dei nostri progetti alla tua classe o alla tua scuola o vuoi attivare il corso della Scuola Holden pensato per gli insegnanti puoi contattare…». Seguono vari pacchetti: Babele, Plot, Short, Elettro-reading, Imparare a raccontare, Raccontare la storia, Ridiamoci sopra…

Luca Mastrantonio
http://tritone52.wordpress.com/2009/02/26/baricco/

Basta soldi pubblici al teatro meglio puntare su scuola e tv

Sotto la lente della crisi economica, piccole crepe diventano enormi, nella ceramica di tante vite individuali, ma anche nel muro di pietra del nostro convivere civile. Una che si sta spalancando, non sanguinosa ma solenne, è quella che riguarda le sovvenzioni pubbliche alla cultura. Il fiume di denaro che si riversa in teatri, musei, festival, rassegne, convegni, fondazioni e associazioni. Dato che il fiume si sta estinguendo, ci si interroga. Si protesta. Si dibatte. Un commissariamento qui, un’indagine per malversazione là, si collezionano sintomi di un’agonia che potrebbe anche essere lunghissima, ma che questa volta non lo sarà. Sotto la lente della crisi economica, prenderà tutto fuoco, molto più velocemente di quanto si creda.

In situazioni come queste, nei film americani puoi solo fare due cose: o scappi o pensi molto velocemente. Scappare è inelegante. Ecco il momento di pensare molto velocemente. Lo devono fare tutti quelli cui sta a cuore la tensione culturale del nostro Paese, e tutti quelli che quella situazione la conoscono da vicino, per averci lavorato, a qualsiasi livello. Io rispondo alla descrizione, quindi eccomi qui. In realtà mi ci vorrebbe un libro per dire tutto ciò che penso dell’intreccio fra denaro pubblico e cultura, ma pensare velocemente vuol dire anche pensare l’essenziale, ed è ciò che cercherò di fare qui.

Se cerco di capire cosa, tempo fa, ci abbia portato a usare il denaro pubblico per sostenere la vita culturale di un Paese, mi vengono in mente due buone ragioni. Prima: allargare il privilegio della crescita culturale, rendendo accessibili i luoghi e i riti della cultura alla maggior parte della comunità. Seconda: difendere dall’inerzia del mercato alcuni gesti, o repertori, che probabilmente non avrebbero avuto la forza di sopravvivere alla logica del profitto, e che tuttavia ci sembravano irrinunciabili per tramandare un certo grado di civiltà.

A queste due ragioni ne aggiungerei una terza, più generale, più sofisticata, ma altrettanto importante: la necessità che hanno le democrazie di motivare i cittadini ad assumersi la responsabilità della democrazia: il bisogno di avere cittadini informati, minimamente colti, dotati di principi morali saldi, e di riferimenti culturali forti. Nel difendere la statura culturale del cittadino, le democrazie salvano se stesse, come già sapevano i greci del quinto secolo, e come hanno perfettamente capito le giovani e fragili democrazie europee all’indomani della stagione dei totalitarismi e delle guerre mondiali.

Adesso la domanda dovrebbe essere: questi tre obbiettivi, valgono ancora? Abbiamo voglia di chiederci, con tutta l’onestà possibile, se sono ancora obbiettivi attuali? Io ne ho voglia. E darei questa risposta: probabilmente sono ancora giusti, legittimi, ma andrebbero ricollocati nel paesaggio che ci circonda. Vanno aggiornati alla luce di ciò che è successo da quando li abbiamo concepiti. Provo a spiegare.

Prendiamo il primo obbiettivo: estendere il privilegio della cultura, rendere accessibili i luoghi dell’intelligenza e del sapere. Ora, ecco una cosa che è successa negli ultimi quindici anni nell’ambito dei consumi culturali: una reale esplosione dei confini, un’estensione dei privilegi, e un generale incremento dell’accessibilità. L’espressione che meglio ha registrato questa rivoluzione è americana: the age of mass intelligence, l’epoca dell’intelligenza di massa.

Oggi non avrebbe più senso pensare alla cultura come al privilegio circoscritto di un’élite abbiente: è diventata un campo aperto in cui fanno massicce scorribande fasce sociali che da sempre erano state tenute fuori dalla porta. Quel che è importante è capire perché questo è successo. Grazie al paziente lavoro dei soldi pubblici? No, o almeno molto di rado, e sempre a traino di altre cose già successe. La cassaforte dei privilegi culturali è stata scassinata da una serie di cause incrociate: Internet, globalizzazione, nuove tecnologie, maggior ricchezza collettiva, aumento del tempo libero, aggressività delle imprese private in cerca di un’espansione dei mercati. Tutte cose accadute nel campo aperto del mercato, senza alcuna protezione specifica di carattere pubblico.

Se andiamo a vedere i settori in cui lo spalancamento è stato più clamoroso, vengono in mente i libri, la musica leggera, la produzione audiovisiva: sono ambiti in cui il denaro pubblico è quasi assente. Al contrario, dove l’intervento pubblico è massiccio, l’esplosione appare molto più contratta, lenta, se non assente: pensate all’opera lirica, alla musica classica, al teatro: se non sono stagnanti, poco ci manca. Non è il caso di fare deduzioni troppo meccaniche, ma l’indizio è chiaro: se si tratta di eliminare barriere e smantellare privilegi, nel 2009, è meglio lasciar fare al mercato e non disturbare.

Questo non significa dimenticare che la battaglia contro il privilegio culturale è ancora lontana dall’essere vinta: sappiamo bene che esistono ancora grandi caselle del Paese in cui il consumo culturale è al lumicino. Ma i confini si sono spostati.

Chi oggi non accede alla vita culturale abita spazi bianchi della società che sono raggiungibili attraverso due soli canali: scuola e televisione. Quando si parla di fondi pubblici per la cultura, non si parla di scuola e di televisione. Sono soldi che spendiamo altrove. Apparentemente dove non servono più. Se una lotta contro l’emarginazione culturale è sacrosanta, noi la stiamo combattendo su un campo in cui la battaglia è già finita.

Secondo obbiettivo: la difesa di gesti e repertori preziosi che, per gli alti costi o il relativo appeal, non reggerebbero all’impatto con una spietata logica di mercato. Per capirci: salvare le regie teatrali da milioni di euro, La figlia del reggimento di Donizetti, il corpo di ballo della Scala, la musica di Stockhausen, i convegni sulla poesia dialettale, e così via. Qui la faccenda è delicata. Il principio, in sé, è condivisibile. Ma, nel tempo, l’ingenuità che gli è sottesa ha raggiunto livelli di evidenza quasi offensivi.

Il punto è: solo col candore e l’ottimismo degli anni Sessanta si poteva davvero credere che la politica, l’intelligenza e il sapere della politica, potessero decretare cos’era da salvare e cosa no. Se uno pensa alla filiera di intelligenze e saperi che porta dal ministro competente giù fino al singolo direttore artistico, passando per i vari assessori, siamo proprio sicuri di avere davanti agli occhi una rete di impressionante lucidità intellettuale, capace di capire, meglio di altri, lo spirito del tempo e le dinamiche dell’intelligenza collettiva? Con tutto il rispetto, la risposta è no. Potrebbero fare di meglio i privati, il mercato? Probabilmente no, ma sono convinto che non avrebbero neanche potuto fare di peggio.

Mi resta la certezza che l’accanimento terapeutico su spettacoli agonizzanti, e ancor di più la posizione monopolistica in cui il denaro pubblico si mette per difenderli, abbiano creato guasti imprevisti di cui bisognerebbe ormai prendere atto. Non riesco a non pensare, ad esempio, che l’insistita difesa della musica contemporanea abbia generato una situazione artificiale da cui pubblico e compositori, in Italia, non si sono più rimessi: chi scrive musica non sa più esattamente cosa sta facendo e per chi, e il pubblico è in confusione, tanto da non capire neanche più Allevi da che parte sta (io lo so, ma col cavolo che ve lo dico).

Oppure: vogliamo parlare dell’appassionata difesa del teatro di regia, diventato praticamente l’unico teatro riconosciuto in Italia? Adesso possiamo dire con tranquillità che ci ha regalato tanti indimenticabili spettacoli, ma anche che ha decimato le file dei drammaturghi e complicato la vita degli attori: il risultato è che nel nostro paese non esiste quasi più quel fare rotondo e naturale che mettendo semplicemente in linea uno che scrive, uno che recita, uno che mette in scena e uno che ha soldi da investire, produce il teatro come lo conoscono i paesi anglosassoni: un gesto naturale, che si incrocia facilmente con letteratura e cinema, e che entra nella normale quotidianità della gente.

Come vedete, i principi sarebbero anche buoni, ma gli effetti collaterali sono incontrollati. Aggiungo che la vera rovina si è raggiunta quando la difesa di qualcosa ha portato a una posizione monopolistica. Quando un mecenate, non importa se pubblico o privato, è l’unico soggetto operativo in un determinato mercato, e in più non è costretto a fare di conto, mettendo in preventivo di perdere denaro, l’effetto che genera intorno è la desertificazione. Opera, teatro, musica classica, festival culturali, premi, formazione professionale: tutti ambiti che il denaro pubblico presidia più o meno integralmente. Margini di manovra per i privati: minimi. Siamo sicuri che è quello che vogliamo? Siamo sicuri che sia questo il sistema giusto per non farci derubare dell’eredità culturale che abbiamo ricevuto e che vogliamo passare ai nostri figli?

Terzo obbiettivo: nella crescita culturale dei cittadini le democrazie fondano la loro stabilità. Giusto. Ma ho un esempietto che può far riflettere, fatalmente riservato agli elettori di centrosinistra. Berlusconi.

Circola la convinzione che quell’uomo, con tre televisioni, più altre tre a traino o episodicamente controllate, abbia dissestato la caratura morale e la statura culturale di questo Paese dalle fondamenta: col risultato di generare, quasi come un effetto meccanico, una certa inadeguatezza collettiva alle regole impegnative della democrazia.

Nel modo più chiaro e sintetico ho visto enunciata questa idea da Nanni Moretti, nel suo lavoro e nelle sue parole. Non è una posizione che mi convince (a me Berlusconi sembra più una conseguenza che una causa) ma so che è largamente condivisa, e quindi la possiamo prendere per buona. E chiederci: come mai la grandiosa diga culturale che avevamo immaginato di issare con i soldi dei contribuenti (cioè i nostri) ha ceduto per così poco?

Bastava mettere su tre canali televisivi per aggirare la grandiosa cerchia di mura a cui avevamo lavorato? Evidentemente sì. E i torrioni che abbiamo difeso, i concerti di lieder, le raffinate messe in scena di Cechov, la Figlia del reggimento, le mostre sull’arte toscana del quattrocento, i musei di arte contemporanea, le fiere del libro? Dov’erano, quando servivano? Possibile che non abbiano visto passare il Grande Fratello? Sì, possibile. E allora siamo costretti a dedurre che la battaglia era giusta, ma la linea di difesa sbagliata. O friabile. O marcia. O corrotta. Ma più probabilmente: l’avevamo solo alzata nel luogo sbagliato.

Riassunto. L’idea di avvitare viti nel legno per rendere il tavolo più robusto è buona: ma il fatto è che avvitiamo a martellate, o con forbicine da unghie. Avvitiamo col pelapatate. Fra un po’ avviteremo con le dita, quando finiranno i soldi.

Cosa fare, allora? Tenere saldi gli obbiettivi e cambiare strategia, è ovvio. A me sembrerebbe logico, ad esempio, fare due, semplici mosse, che qui sintetizzo, per l’ulcera di tanti.

1. Spostate quei soldi, per favore, nella scuola e nella televisione. Il Paese reale è lì, ed è lì la battaglia che dovremmo combattere con quei soldi. Perché mai lasciamo scappare mandrie intere dal recinto, senza battere ciglio, per poi dannarci a inseguire i fuggitivi, uno ad uno, tempo dopo, a colpi di teatri, musei, festival, fiere e eventi, dissanguandoci in un lavoro assurdo? Che senso ha salvare l’Opera e produrre studenti che ne sanno più di chimica che di Verdi? Cosa vuol dire pagare stagioni di concerti per un Paese in cui non si studia la storia della musica neanche quando si studia il romanticismo? Perché fare tanto i fighetti programmando teatro sublime, quando in televisione già trasmettere Benigni pare un atto di eroismo? Con che faccia sovvenzionare festival di storia, medicina, filosofia, etnomusicologia, quando il sapere, in televisione - dove sarebbe per tutti - esisterà solo fino a quando gli Angela faranno figli?

Chiudete i Teatri Stabili e aprite un teatro in ogni scuola. Azzerate i convegni e pensate a costruire una nuova generazione di insegnanti preparati e ben pagati. Liberatevi delle Fondazioni e delle Case che promuovono la lettura, e mettete una trasmissione decente sui libri in prima serata. Abbandonate i cartelloni di musica da camera e con i soldi risparmiati permettiamoci una sera alla settimana di tivù che se ne frega dell’Auditel.

Lo dico in un altro modo: smettetela di pensare che sia un obbiettivo del denaro pubblico produrre un’offerta di spettacoli, eventi, festival: non lo è più. Il mercato sarebbe oggi abbastanza maturo e dinamico da fare tranquillamente da solo. Quei soldi servono a una cosa fondamentale, una cosa che il mercato non sa e non vuole fare: formare un pubblico consapevole, colto, moderno. E farlo là dove il pubblico è ancora tutto, senza discriminazioni di ceto e di biografia personale: a scuola, innanzitutto, e poi davanti alla televisione.

La funzione pubblica deve tornare alla sua vocazione originaria: alfabetizzare. C’è da realizzare una seconda alfabetizzazione del paese, che metta in grado tutti di leggere e scrivere il moderno. Solo questo può generare uguaglianza e trasmettere valori morali e intellettuali. Tutto il resto, è un falso scopo.

2. Lasciare che negli enormi spazi aperti creati da questa sorta di ritirata strategica si vadano a piazzare i privati. Questo è un punto delicato, perché passa attraverso la distruzione di un tabù: la cultura come business. Uno ha in mente subito il cattivo che arriva e distrugge tutto. Ma, ad esempio, la cosa non ci fa paura nel mondo dei libri o dell’informazione: avete mai sentito la mancanza di una casa editrice o di un quotidiano statale, o regionale, o comunale? Per restare ai libri: vi sembrano banditi Mondadori, Feltrinelli, Rizzoli, Adelphi, per non parlare dei piccoli e medi editori? Vi sembrano pirati i librai? È gente che fa cultura e fa business. Il mondo dei libri è quello che ci consegnano loro. Non sarà un paradiso, ma l’inferno è un’altra cosa. E allora perché il teatro no? Provate a immaginare che nella vostra città ci siano quattro cartelloni teatrali, fatti da Mondadori, De Agostini, Benetton e vostro cugino. È davvero così terrorizzante? Sentireste la lancinante mancanza di un Teatro Stabile finanziato dai vostri soldi?

Quel che bisognerebbe fare è creare i presupposti per una vera impresa privata nell’ambito della cultura. Crederci e, col denaro pubblico, dare una mano, senza moralismi fuori luogo. Se si hanno timori sulla qualità del prodotto finale o sull’accessibilità economica dei servizi, intervenire a supportare nel modo più spudorato. Lo dico in modo brutale: abituiamoci a dare i nostri soldi a qualcuno che li userà per produrre cultura e profitti. Basta con l’ipocrisia delle associazioni o delle fondazioni, che non possono produrre utili: come se non fossero utili gli stipendi, e i favori, e le regalie, e l’autopromozione personale, e i piccoli poteri derivati. Abituiamoci ad accettare imprese vere e proprie che producono cultura e profitti economici, e usiamo le risorse pubbliche per metterle in condizione di tenere prezzi bassi e di generare qualità. Dimentichiamoci di fargli pagare tasse, apriamogli l’accesso al patrimonio immobiliare delle città, alleggeriamo il prezzo del lavoro, costringiamo le banche a politiche di prestito veloci e superagevolate.

Il mondo della cultura e dello spettacolo, nel nostro Paese, è tenuto in piedi ogni giorno da migliaia di persone, a tutti i livelli, che fanno quel lavoro con passione e capacità: diamogli la possibilità di lavorare in un campo aperto, sintonizzato coi consumi reali, alleggerito dalle pastoie politiche, e rivitalizzato da un vero confronto col mercato.

Sono grandi ormai, chiudiamo questo asilo infantile. Sembra un problema tecnico, ma è invece soprattutto una rivoluzione mentale. I freni sono ideologici, non pratici. Sembra un’utopia, ma l’utopia è nella nostra testa: non c’è posto in cui sia più facile farla diventare realtà.

di Alessandro Baricco
* la Repubblica, 24 febbraio 2009

http://www.repubblica.it/2009/02/sezioni/spettacoli_e_cultura/spettacolo-baricco/spettacolo-baricco/spettacolo-baricco.html

venerdì 9 gennaio 2009

BERLUSCONI, TREMONTI, BONDI, SAPETE CHE ANCHE I MUSICISTI ITALIANI SONO ENTRATI IN EUROPA ?


PARLAMENTO EUROPEO

STATUTO SOCIALE DEGLI ARTISTI

Procedura: 2006/2249(INI) Ciclo di vita in Aula
Ciclo del documento: A6-0199/2007

Testi presentati:
A6-0199/2007

Discussioni:
PV 06/06/2007 - 20
CRE 06/06/2007 - 20

Votazioni:
PV 07/06/2007 - 5.18
CRE 07/06/2007 - 5.18
Dichiarazioni di voto

Testi approvati:
P6_TA(2007)0236

Testi approvati dal Parlamento
Giovedì 7 giugno 2007 - Bruxelles Edizione provvisoria



Statuto sociale degli artisti

P6_TA-PROV(2007) 0236 A6-0199/2007

Risoluzione del Parlamento europeo del 7 giugno 2007 sullo statuto sociale degli artisti

(2006/2249(INI))

Il Parlamento europeo,

– vista la Convenzione dell'Unesco sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali,

– vista la comunicazione della Commissione dal titolo "Una strategia quadro per la non discriminazione e le pari opportunità per tutti" (COM(2005)0224),

– visto il Libro Verde della Commissione dal titolo "Modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo" (COM(2006)0708),

– vista la propria risoluzione del 22 ottobre 2002 sull'importanza e il dinamismo del teatro e delle arti dello spettacolo nell'Europa allargata (1),

– vista la propria risoluzione del 4 settembre 2003 sulle industrie culturali (2),

– vista la propria risoluzione del 13 ottobre 2005 sulle nuove sfide per il circo quale parte della cultura europea (3),

– visto il regolamento (CEE) n. 1408/71 del Consiglio, del 14 giugno 1971, relativo
all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro
familiari che si spostano all'interno della Comunità (4),

– visto il regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (5),

– vista la direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società dell'informazione (6),

– vista la sua risoluzione del 9 marzo 1999 sulla situazione e il ruolo degli artisti nell'Unione europea (7),

– vista la direttiva 2006/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, concernente il diritto di noleggio, il diritto di prestito e taluni diritti connessi al diritto di autore in materia di proprietà intellettuale (8),

– vista la direttiva 2006/116/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, concernente la durata di protezione del diritto d'autore e di alcuni diritti connessi (9),

– vista la sentenza della Corte di giustizia del 30 marzo 2000, causa C-178/97, Barry Banks e altri contro Theatre royal de la Monnaie (10),

– vista la sentenza della Corte di giustizia del 15 giugno 2006, causa C-255/04, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica francese (11),

– visto l'articolo 45 del suo regolamento,

– vista la relazione della commissione per la cultura e l'istruzione (A6-0199/2007),

A. considerando che l'arte può anche essere considerata un lavoro e una professione,

B. considerando che le summenzionate sentenze e la direttiva 96/71/CE riguardano tutte in modo specifico le attività degli artisti interpreti,

C. considerando che, per praticare l'arte al più alto livello, occorre interessarsi al mondo dello spettacolo e della cultura sin dalla più giovane età ed avere la possibilità di accedere alle principali opere del nostro patrimonio culturale,

D. considerando che in numerosi Stati membri taluni professionisti del settore artistico non hanno uno statuto legale,

E. considerando che la flessibilità e la mobilità sono elementi indissociabili
nell'esercizio delle professioni artistiche,

F. considerando che nessun artista è totalmente al riparo dalla precarietà in nessuna fase del suo percorso professionale,

G. considerando che la natura aleatoria e talvolta incerta della professione artistica deve essere necessariamente compensata dalla garanzia di una protezione sociale sicura,

H. considerando che ancora oggi risulta praticamente impossibile per un artista in Europa ricostruire la sua carriera professionale,

I. considerando che occorre facilitare l'accesso degli artisti alle informazioni concernenti le loro condizioni di lavoro, mobilità, disoccupazione, salute e pensione,

J. considerando che le predisposizioni artistiche, le doti naturali e il talento sono raramente sufficienti per aprire la strada ad una carriera artistica professionale,

K. considerando che non sono stati ancora sufficientemente sviluppati i contratti di
formazione e/o qualificazione a vocazione artistica adattati alle singole discipline,

L. considerando che è opportuno incoraggiare la riconversione professionale degli artisti,

M. considerando che la libera circolazione dei lavoratori in generale, inclusi gli artisti originari dei nuovi Stati membri, è tuttora soggetta a certe limitazioni dovute alle possibili disposizioni transitorie previste dal trattato di adesione,

N. considerando che le produzioni artistiche riuniscono spesso artisti europei ed artisti extracomunitari la cui mobilità è spesso ostacolata dalla difficoltà di ottenere visti a medio termine,

O. considerando che il soggiorno degli artisti in uno Stato membro è il più delle volte di breve durata (inferiore ai tre mesi),

P. considerando che tutti questi problemi legati alla mobilità transfrontaliera, principale caratteristica delle professioni artistiche, mettono in luce la necessità di prevedere misure concrete in questo settore,

Q. considerando che è essenziale distinguere le attività artistiche amatoriali da quelle dei professionisti,

R. considerando che l'integrazione dell'insegnamento artistico nei programmi scolastici degli Stati membri deve essere assicurato in modo efficace,

S. considerando che la succitata Convenzione dell'Unesco costituisce un'ottima base per il riconoscimento dell'importanza delle attività dei professionisti nella creazione artistica,

T. considerando che la direttiva 2001/29/CE impone agli Stati membri che ancora non la applicano, di prevedere per gli autori un compenso equo in caso di eccezioni o restrizioni al diritto di riproduzione (reprografia, riproduzione per uso privato),

U. considerando che la direttiva 2006/115/CEE determina i diritti esclusivi di cui sono titolari in particolare gli artisti interpreti e il loro diritto irrinunciabile ad una remunerazione equa,

V. considerando che i diritti patrimoniali e morali degli autori e degli artisti interpreti sono a tal riguardo il riconoscimento del loro lavoro creativo e del loro contributo alla cultura in generale,

W. considerando che la creazione artistica partecipa allo sviluppo del patrimonio culturale e si nutre delle opere del passato, da cui trae ispirazione e materiale e di cui gli Stati assicurano la salvaguardia,




MIGLIORAMENTO DELLA SITUAZIONE CONTRATTUALE DEGLI ARTISTI IN EUROPA

La situazione contrattuale

invita gli Stati membri a sviluppare o applicare un quadro giuridico e istituzionale al fine di sostenere la creazione artistica mediante l'adozione o l'attuazione di una serie di misure coerenti e globali che riguardino la situazione contrattuale, la sicurezza sociale, l'assicurazione malattia, la tassazione diretta e indiretta e la conformità alle norme europee;

sottolinea che occorre prendere in considerazione la natura atipica dei metodi di lavoro dell'artista;

sottolinea inoltre che occorre prendere in considerazione la natura atipica e precaria di tutte le professioni sceniche;

incoraggia gli Stati membri a sviluppare la definizione di contratti di formazione o di qualificazione nelle professioni artistiche;

propone pertanto agli Stati membri di agevolare il riconoscimento dell'esperienza

professionale degli artisti;

La protezione dell'artista

invita la Commissione e gli Stati membri a creare un "registro professionale europeo" del tipo EUROPASS per gli artisti, previa consultazione del settore artistico, nel quale potrebbero figurare il loro statuto, la natura e la durata dei successivi contratti nonché i dati dei loro datori di lavoro o dei prestatori di servizi che li ingaggiano;

incoraggia gli Stati membri a migliorare il coordinamento e lo scambio di buone pratiche e di informazioni;

sollecita la Commissione ad elaborare, in cooperazione con il settore, un manuale pratico uniforme e comprensibile destinato agli artisti europei e agli organi interessati nelle amministrazioni, che contenga tutte le disposizioni in materia di assicurazione malattia, disoccupazione e pensionamento in vigore a livello nazionale ed europeo;

invita la Commissione e gli Stati membri in funzione degli accordi bilaterali applicabili ad esaminare la possibilità di iniziative per assicurare il trasferimento dei diritti pensionistici e di sicurezza sociale degli artisti provenienti da paesi terzi quando ritornano nei loro paesi d'origine e per garantire che si tenga conto della esperienza di lavoro in uno Stato membro;

incoraggia la Commissione a varare un progetto pilota al fine di sperimentare l'introduzione di una carta elettronica europea di sicurezza sociale specificamente destinata all'artista europeo;

ritiene infatti che tale carta, contenendo tutte le informazioni concernenti l'artista, potrebbe risolvere alcuni problemi inerenti alla sua professione;

sottolinea la necessità di distinguere con precisione la mobilità specifica degli artisti da quella dei lavoratori dell'Unione europea in generale;

chiede a tale proposito alla Commissione di fare il punto sui progressi realizzati in merito a tale mobilità specifica;

chiede alla Commissione di individuare formalmente i settori culturali in cui risulta evidente il rischio di una fuga di creatività e di talenti e chiede agli Stati membri di incoraggiare, mediante incentivi, gli artisti a rimanere o a rientrare nel territorio degli Stati membri;

chiede inoltre agli Stati membri di prestare un'attenzione particolare al riconoscimento a livello comunitario di diplomi e altri certificati rilasciati dai conservatori e dalle scuole artistiche nazionali europee e da altre scuole ufficiali delle arti dello spettacolo, in modo da consentire ai loro titolari di lavorare e studiare in tutti gli Stati membri, in conformità con il processo di Bologna;

sollecita tutti gli Stati membri a tal riguardo a

promuovere studi artistici formali che offrano una buona formazione personale e
professionale e consentano agli studenti di sviluppare il proprio talento artistico nonché competenze generali per operare in altri ambiti professionali; sottolinea altresì l'importanza di proporre iniziative su scala europea per facilitare il riconoscimento di diplomi e altri certificati rilasciati dai conservatori e dalle scuole artistiche nazionali di paesi terzi, al fine di favorire la mobilità degli artisti verso gli Stati membri;

invita la Commissione ad adottare una "carta europea per la creazione artistica e le
condizioni del suo esercizio" sulla base di un'iniziativa come quella dell'Unesco, onde affermare l'importanza delle attività dei professionisti della creazione artistica e favorire l'integrazione europea;

invita gli Stati membri ad eliminare tutti i tipi di restrizioni relative all'accesso al mercato del lavoro per gli artisti dei nuovi Stati membri;

invita gli Stati membri che non l'applicano ancora ad organizzare, nel rispetto della direttiva 2006/115/CEE e della direttiva 2001/29/CE, in modo efficace il pagamento di tutti gli equi compensi relativi ai diritti di riproduzione e delle eque remunerazioni dovute ai titolari dei diritti d'autore e dei diritti associati;

invita la Commissione a procedere ad uno studio che analizzi le disposizioni prese dagli Stati membri per assicurare in modo efficace ai titolari dei diritti d'autore e dei diritti connessi l'equo compenso per le eccezioni legali applicate dagli Stati membri a norma della direttiva 2001/29/CE e per lo sfruttamento legale dei loro diritti a norma della direttiva 2006/115/CEE;

invita la Commissione a procedere ad uno studio che analizzi le disposizioni prese dagli Stati membri affinché una parte delle entrate generate dal pagamento dell'equo compenso dovuto ai titolari dei diritti d'autore e dei diritti connessi sia destinata al sostegno dell'attività creativa e alla protezione sociale e finanziaria degli artisti, e che analizzi inoltre gli strumenti giuridici e i dispositivi che potrebbero essere utilizzati per contribuire al finanziamento della protezione degli artisti viventi europei;

ritiene auspicabile che gli Stati membri sudino la possibilità di concedere agli artisti un aiuto supplementare a quelli già in vigore, prevedendo per esempio un prelievo sullo sfruttamento commerciale delle creazioni originali e delle loro interpretazioni libere da diritti;

La politica dei visti: mobilità e impiego dei cittadini di paesi terzi

sottolinea la necessità di tener conto delle difficoltà che alcuni artisti europei ed extracomunitari incontrano attualmente per ottenere un visto ai fini del rilascio di un permesso di lavoro, nonché delle incertezze legate a tale situazione;

sottolinea altresì che le condizioni stabilite per la concessione dei visti e dei permessi di lavoro sono attualmente difficili da soddisfare da parte degli artisti in possesso di contratti di lavoro a breve termine;

invita la Commissione a riflettere sugli attuali sistemi per la concessione di visti e permessi di lavoro agli artisti e a mettere a punto una regolamentazione comunitaria in questo settore che possa portare all'introduzione di un visto temporaneo specificamente destinato agli artisti europei ed extracomunitari, come già avviene in taluni Stati membri;

Formazione lungo tutto l'arco della vita e riconversione


invita gli Stati membri a creare strutture specializzate di formazione e tirocinio destinate ai professionisti del settore culturale, in modo da sviluppare un'autentica politica dell'occupazione in questo ambito;

invita la Commissione a raccogliere tutte le ricerche e le pubblicazioni esistenti e a valutare, nella forma di uno studio, l'attuale situazione per quanto concerne l'attenzione prestata nell'Unione europea alle malattie professionali tipiche delle attività artistiche, ad esempio l'artrite;

ricorda che tutti gli artisti esercitano la loro attività in modo permanente, non
limitandosi alle ore di prestazione artistica o di spettacolo sulla scena;

ricorda a tale proposito che i periodi di ripetizione costituiscono a pieno titolo ore di lavoro effettivo e che è necessario tener conto di tutti questi periodi d'attività nella carriera degli artisti, sia durante i periodi di disoccupazione che a fini pensionistici;

invita la Commissione a valutare il livello reale di cooperazione europea e di scambi nel campo della formazione professionale nelle arti dello spettacolo e a promuovere tali aspetti nel quadro dei programmi per l'apprendimento permanente e cultura 2007, nonché dell'Anno europeo per l'istruzione e la cultura 2009;

Verso una ristrutturazione delle attività amatoriali

insite sulla necessità di sostenere tutte le attività artistiche e culturali svolte segnatamente a favore di gruppi socialmente svantaggiati allo scopo di migliorarne l'integrazione;

sottolinea l'importanza delle attività artistiche amatoriali quale elemento cruciale di avvicinamento tra le comunità locali e di costituzione di una società dei cittadini;

sottolinea che gli artisti senza formazione specifica che aspirano a una carriera artistica professionale dovrebbero essere ben informati in merito a certi aspetti di questa professione;

invita a tale proposito gli Stati membri ad incoraggiare e a promuovere le attività
amatoriali in continuo contatto con gli artisti professionisti;

Garantire la formazione artistica e culturale sin dalla più giovane età

invita la Commissione ad effettuare uno studio sull'educazione artistica nell'Unione europea
(i suoi contenuti, la natura della formazione offerta – se formale o meno –, i risultati e gli sbocchi professionali) e a comunicarne i risultati al Parlamento entro due anni;

invita la Commissione ad incoraggiare e favorire la mobilità degli studenti europei delle discipline artistiche, attraverso l'intensificazione dei programmi di scambio fra gli studenti dei conservatori e delle scuole artistiche nazionali sia su scala europea che su scala extra-europea;

invita la Commissione a prevedere il finanziamento di misure e progetti pilota che
consentano in particolare di definire i modelli adeguati in materia di educazione artistica nell'ambiente scolastico attraverso un sistema europeo di scambio di informazioni e di esperienze destinato agli insegnanti di discipline artistiche;

raccomanda agli Stati membri di intensificare la formazione degli insegnanti incaricati dell'educazione artistica;

chiede alla Commissione e agli Stati membri di esaminare la possibilità di creare un fondo di mobilità europea di tipo Erasmus destinato agli scambi di insegnanti e di giovani artisti; ricorda a tal riguardo l'importanza che attribuisce all'aumento del bilancio europeo destinato alla cultura;

chiede alla Commissione e agli Stati membri di lanciare una campagna d'informazione volta ad offrire una garanzia di qualità dell'educazione artistica;

incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio e alla Commissione nonché ai parlamenti e ai governi degli Stati membri.


(1) GU C 300 E dell'11.12.2003, pag. 156.
(2) GU C 76 E del 25.3.2004, pag. 459.
(3) GU C 233 E del 28.9.2006, pag. 124.
(4) GU L 149 del 5.7.1971, pag. 2.
(5) GU L 166 del 30.4.2004, pag. 1.
(6) GU L 167 del 22.6.2001, pag. 10.
(7) GU C 175 del 21.6.1999, pag. 42.
(8) GU L 376 del 27.12.2006, pag. 28.
(9) GU L 372 del 27.12.2006, pag. 12.
(10) Racc. 2000, pag. I-2005.
(11) Racc. 2000, pag. I-5251.

MOTIVAZIONE

Verso uno statuto europeo degli artisti

La questione della regolamentazione dell'accesso alle professioni nel settore dello spettacolo dal vivo è complessa e controversa, tuttavia è divenuto ormai impossibile ignorare i problemi causati dall'assenza di una regolamentazione.

Non basta ricorrere ad argomentazioni quali i vantaggi derivanti dall'assenza di "filtri" e la possibilità per ciascun artista di esprimersi liberamente, poiché ciò significherebbe semplicemente demandare al mercato tale funzione, a scapito dei principi artistici e di giustizia sociale.

Anche per gli artisti più dotati, la carriera nelle discipline dal vivo continua ad essere un'aleatoria e travagliata traversata del deserto, caratterizzata da una serie di problemi, quali retribuzioni in calo, ore non dichiarate e condizioni di lavoro in continuo peggioramento, che si traducono spesso in autentiche delusioni.

Occorre quindi trovare un equilibrio tra la capacità di diffusione del settore e il numero di aspiranti artisti.

D'altro canto, è pur vero che oggi numerose produzioni artistiche riuniscono artisti europei e di paesi terzi, la cui mobilità è spesso ostacolata dal mancato recepimento delle normative europee negli ordinamenti degli Stati membri e da una scarsa conoscenza delle legislazioni nazionali.

A livello europeo le norme esistono già, basta applicarle. Gli artisti ignorano le legislazioni degli Stati membri che li ospitano e non sanno come esigere l'applicazione dei testi europei.

La maggior parte delle difficoltà incontrate dagli artisti non è di carattere culturale, ma dovuta a ragioni di mobilità, politica dei visti, salute, sicurezza sociale, disoccupazione e pensione. Ed è proprio a questi problemi concreti che abbiamo tentato di dare una risposta.

La situazione è stata analizzata da diversi Stati membri, i quali ritengono che sia assolutamente necessario riflettere sui miglioramenti da apportare per consentire agli artisti europei di ottenere un livello adeguato di riconoscimento e integrazione nella loro attività professionale.

Per questa ragione, la stesura di una "Carta europea per l'attività di produzione artistica e le relative condizioni di esercizio" ci pare un'eccellente base di riflessione.

La valutazione delle esigenze dell'artista rappresenta infatti il primo, anche se non l'unico, passo verso il miglioramento della sua condizione.

La sfida di una politica culturale europea consiste nel costruire un ambiente culturale dinamico, creativo e innovativo in tutte le discipline artistiche. Ciò, tuttavia, non potrà prescindere dal riconoscimento ai nostri artisti delle garanzie sociali di cui godono gli altri lavoratori europei, nel rispetto della libertà artistica per loro essenziale.

* A voi i commenti !!

mercoledì 7 gennaio 2009

TEATRI E "TEATRINI" D' ITALIA

La situazione musicale italiana secondo il M° Lior Shambadal.

Lior Shambadal: "In Italia, la situazione è vergognosa! In Germania si contano 250 orchestre di musica lirica, in Italia 13 Enti Lirici e si parla di chiuderne la metà! In Italia avete in tutto 10 orchestre importanti e dovrebbero essere almeno 100. Nella sola Pechino si esibiscono 13 orchestre di musica sinfonica italiana e quante orchestre di musica classica cinese, finanziate dallo Stato, avete a Roma? Nessuna, ovviamente.

In Venezuela ci sono circa 700 orchestre giovanili e musicisti di grande valore che hanno studiato anche all'estero e il governo ha deciso che ogni ragazzo invece della droga deve prendere in mano uno strumento. Recentemente a Vienna il direttore artistico di un grande teatro mi parlava dell'Opera e della collaborazione con l'Italia e a un certo punto mi ha detto: "L'Italia è un deserto culturale!". I vostri politici non fanno nulla e il popolo è rovinato dalla televisione.

In Corea, in occasione di un concerto, ho visto un grandissimo manifesto con su scritto Beethoven è anche coreano e questo è molto bello perché Beethoven è patrimonio dell'umanità, è patrimonio di tutto il mondo. E qui in Italia? Dove sono i vostri grandi musicisti? Dove sono? Le orchestre italiane non sanno suonare la musica italiana, quasi non la conoscono. Parlo anche dei compositori più moderni per es. Petrassi e Malipiero. In Italia non c'è rispetto per la cultura del passato. Se noi ebrei dimenticassimo la nostra cultura saremmo finiti in un giorno. Quando Verdi è morto tutta l'Italia era al suo funerale e oggi dove sono gli italiani?"

Il maestro Lior Shambadal, primo direttore dell'orchestra sinfonica di Berlino e primo direttore dell'orchestra sinfonica slovena, uno dei più importanti direttori d'orchestra del mondo, mi guarda diritto negli occhi e mi mette a disagio, in imbarazzo, mi fa sentire tutto la tristezza e la vergogna per la sciagurata assenza di una politica culturale nel nostro paese.

"Cinquecento anni fa, tutta la musica classica e sinfonica è nata in Italia e nelle Fiandre dalla musica sacra. Tutto il barocco, tutta la musica rinascimentale è nata qui. In Italia tutto è iniziato e tutto sta finendo! Nella mia vita ho diretto oltre seicento opere liriche di compositori italiani. Ho diretto molta musica italiana e molta musica russa.

Innanzitutto Giuseppe Verdi che io amo molto e che per me è il più grande e poi Donizetti, Rossini, Puccini..... Nella storia troviamo grandissimi compositori ed interpreti italiani dell'opera lirica e sono ancora convinto che la potenzialità italiana sia fra le più importanti del mondo. E invece nel vostro paese alla musica e alla formazione dei giovani musicisti non si dà alcuna importanza e si continuano a tagliare i finanziamenti. Ho davvero la speranza che qualcosa cambi e che si ritorni ad amare la musica così come è sempre stato nella grande tradizione italiana."

http://www.agenziaradicale.com/index.php?option=com_content&task=view&id=6874&Itemid=55


"TEATRI D'ITALIA?....INTERVALLO


Il 12 novembre il Ministro per i beni e le attività culturali Bondi, si è impegnato a creare un gruppo di lavoro che a inizio 2009, "bonificherà" il settore per rifinanziarlo una volta "snellito".

Ci chiediamo, perchè in Italia l'investimento del pubblico nella cultura risulti essere il più basso dell'Unione Europea?

Perchè in un Paese come l'Italia riconosciuto nel mondo per essere la nazione che conserva forse il più ricco patrimonio artistico del mondo, il governo prepara una finanziaria che prevede tagli al Fus che riducono del 35% l'intero finanziamento?

Per il 2009 si prevede una riduzione da 567 milioni di euro a 378, per il 2010 da 563 a 400, per il 2011 da 511 a 307.

Quale altra voce del bilancio ha subito tagli che ammontano al 35% dell'intero finanziamento?

Su questa premessa i teatri lirici italiani saranno sul lastrico a fine 2009.

La cosa ancora più grave è che il Ministro Bondi,intende anche intervenire sul contratto di lavoro delle fondazioni lirico-sinfoniche.

Meno male che il segretario generale del Slc/Cgil, Emilio Miceli, ribadisce con forza che contrasterà con nettezza ogni tentativo di scaricare sui lavoratori tutto il peso delle inefficienze e del risanamento.

Prima Bondi, mostrandosi quasi estraneo all'argomento, aveva fatto credere che le responsabilità dei tagli al Fus erano di un certo sig. Tremonti, imbarazzante non trovate?; un Ministro preposto al settore pilotato da Tremonti, che ricordiamo appena giunto al governo ha ribadito che spendere per la cultura è uno spreco.

Capisco ora, anche i quasi 8 miliardi in meno alla Scuola.

Aveva ragione Piero Calamandrei il quale, al III congresso dell'associazione di difesa della scuola nazionale nel 1950 dichiarava: "Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza.

Non vuole fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in un alloggiamento per manipoli; ma vuole istituire, senza parere, una larvata dittatura.

Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private".

La situazione della scuola meriterebbe un post più approfondito e mi riprometto di farlo al più presto.

Torniamo alla coppia Tremonti-Bondi.

All'improvviso poi, Bondi decide di cambiare atteggiamento: "cambiamo le regole delle fondazioni liriche", "mettiamo ordine nella questione più importante: i contratti di lavoro", "i professori d'orchestra si permettono di avere un secondo lavoro, a nessun dipendente, pubblico o privato è concesso", "la Scala e L'Accademia Nazionale di S.Cecilia hanno un ruolo e una visibilità particolari".

Ci piacerebbe sapere quale criterio venga usato per stabilire la preferenza di una istituzione rispetto a un altra.

Che, il Teatro S.Carlo sia meno importante dei due sopracitati enti?

Alla Scala sono stati indetti alcuni scioperi, invece il Teatro Regio di Torino ha reagito aprendo le porte al pubblico affinchè si renda visibile quella complessa serie di lavori che si svolgono in un teatro.

La vera preoccupazione del Governo sta solo nel fatto di rastrellare denaro senza stilare alcun progetto.

Che le grandi opere del Cavaliere siano forse più importanti della conservazione e della tutela del patrimonio culturale della nazione?

Credo tuttavia, che la strada più giusta da percorrere, sia quella di un disegno di legge da condividere e discutere con le categorie interessate, anziché un decreto legge.

Bisognerà dare sopratutto una risposta anche ai 5.500 lavoratori del settore che rischiano seriamente il licenziamento.

Perchè indebolire un settore che già di per se, a causa anche degli sprechi, (e qui che bisognerebbe intervenire invece) risulta debole?

Bene la proposta di defiscalizzare i contributi dei privati, ma non basta.

Tagliando in maniera selvaggia la cultura, lo spettacolo e la scuola, corriamo il rischio di restituire una immagine del nostro Paese, che non corrisponde all'altissima considerazione che la cultura italiana gode in tutto il mondo.

Mi piacerebbe che il senatore Franco Asciutti del "popolo delle Libertà" leggesse la lettera del direttore Lior Shambadal.

Asciutti, ignora completamente la realtà musicale del nostro Paese e sopratutto il fatto che migliaia di diplomati escono dai nostri conservatori andandosi a riversare direttamente in un mare magnum di corsi di secondo livello, abilitazioni, e varie ed eventuali stregonerie, inventate solo per impoverire le tasche di chi cade in queste trappole.

Asciutti dice:"dobbiamo renderci conto che tredici fondazioni liriche sono troppe, non ce le possiamo permettere, ci piaccia o no. In tutte le parti del mondo, l'opera è un'attività in perdita e per questo all'estero ci sono teatri di vario livello: in Francia di Opéra di Parigi ce n'è una sola. Non è possibile che in Italia esistano dodici teatri tutti dello stesso livello: devono riorganizzarsi e rivedere la loro attività".

Sarà pure, che alcuni dirigenti non siano in grado di valorizzare e attirare il pubblico attraverso programmazioni adeguate e spese oculate ma, mi chiedo, chi ce li ha messi al loro posto?

La ciliegina sulla torta è stata posta sull'Opera di Roma con Vespa nel Cda del teatro(nominato da Bondi-Melandri-Cerami) è così che vogliamo sanare? con i consigli di un tuttologo prostituitosi ai favoritismi della politica?

Forse, abituato a saper gestire il suo "teatrino" serale fatto di porte che si spalancano alla Santanchè, e porte che invece andrebbero sfondate, sarà in grado di gestire quelle dell'Opera di Roma!.

Come può',un rappresentante, adesso ufficiale del Ministero del Governo Berlusconi, continuare a condurre il programma di informazione "imparziale" Porta a Porta?
quali sono state le competenze alla sua base mi chiedo?

Peccato che lo show di Vespa, sembri più che altro un quiz televisivo, anzichè un programma di informazione.

Scegliere Vespa come consigliere, è più una manovra d’immagine che una scelta meritocratica sulla base della competenza, una decisione che è frutto di un modo tutto italiano di interpretare le cariche politiche e statali.

Sgarbi ha così commentato: "E allora? E’ stato messo in un posto in cui in genere stanno persone molto meno competenti e per giunta anche meno famose. Il fatto che Vespa abbia raggiunto un eccellente livello in un campo, non significa che non possa occuparsi anche di altro. Anzi, scompaginare un po’ credo che sia un valore".
Io non credo che "scompaginare" sia un valore caro Sgarbi,e forse è per questo motivo che i teatri vanno in malora.

Perchè non affidare invece la gestione a chi essendo anche musicista possiede anche delle doti di amministratore, che a mio parere, potrebbero essere la carta vincente per la rinascita della musica in Italia.

Vorrei in ultimo citare Vespa che a proposito del fenomeno dei blog si esprime così:
il blog è:
-Luogo di sfogo di perversioni.
-Tenuto da ragazzi con problemi psichici.
-Luogo ideale per sviluppare sdoppiamenti della personalità.
-Spazio dove le inclinazioni più pruriginose delle ragazze trovano collocazione e sbocco.
-Luogo accessibile solo conoscendone la password.
-Eccezion fatta per MySpace, gli altri blog non sarebbero definibili come leciti
-Il disagio giovanile è, in definitiva, colpa di internet.

Vespa, noi consideriamo invece il blog come strumento che porta democrazia, se la ricordi questa parola ogni tanto.
L.M.



"Travaglio" su Vespa... senza casco!!