venerdì 30 dicembre 2011

Per Brunetta nuova poltroncina

di Emiliano Fittipaldi

Non risulta sia un esperto mondiale di musica classica, ma l'ex ministro è stato nominato presidente della Fondazione Ravello. Una bella storia di favori incrociati e di stipendi che volano tra amici



Si sa che i politici senza poltrona non sanno vivere neanche un minuto. Non bisogna stupirsi più di tanto, dunque, che Renato Brunetta - una volta perso il posto da ministro - sia diventato presidente della Fondazione Ravello. Incarico gratuito, ma assai prestigioso: l'organismo gestisce gli eventi musicali ed artistici che ogni anno vengono allestiti nel paesino della Costiera amalfitana, dove va in scena uno dei festival più importanti d'Europa. Non solo: la fondazione controlla anche l'auditorium disegnato da Oscar Niemeyer.

Il professore veneziano non è certo un esperto di musica classica. Ma a Ravello è una sorta di podestà: ha una casa di vacanza da sogno, la cittadinanza onoraria e molti sponsor eccellenti. La lobby di Ravello capeggiata da Renato è composta, in primis, dall'ex sindaco del Pd Secondo Amalfitano. Qualche anno fa tra i due è scoppiata la scintilla, tanto che Amalfitano s'è buttato a destra e s'è trasferito al ministero, dove l'amico Brunetta nel 2009 l'ha fatto prima consulente, poi presidente del nuovo ente Formez Italia, con uno stipendio che tra indennità e premi arriva a 219 mila euro l'anno.

La candidatura di Brunetta (che Amalfitano aveva fatto già entrare anni fa nel consiglio della Fondazione) pare sia stata spinta proprio dall'amico del cuore. Il Comune infatti si è astenuto, mentre hanno votato a favore i rappresentanti della Regione e quelli della provincia di Salerno.

Ma ha votato "sì" anche Filippo Patroni Griffi: pochi sanno che il neo ministro della Funzione pubblica che ha sostituito Brunetta è dentro il consiglio di indirizzo della Fondazione dall'inizio del 2011. A Renato è molto affezionato: è stato infatti il suo capo di gabinetto, e nel 2010 Brunetta l'ha nominato pure commissario (150 mila euro l'anno, a cui aggiungere quello di consigliere di Stato fuori ruolo) della Civit, la commissione sulla trasparenza della pubblica amministrazione che molti (tra cui la Ue) si chiedono ancora a cosa serva.

La presidenza Brunetta stra creando parecchi malumori. Dopo la reggenza del sociologo Domenico De Masi - che ha inventato l'auditoriun e rilanciato il Festival - la mano della politica è sempre più forte. I filosofi, i professori universitari e i direttori di musei sono pian piano scomparsi dal consiglio, e oggi i personaggi di spicco, oltre ai politici locali e ai dirigenti ministeriali come Salvatore Nastasi, sono il presidente del Napoli Aurelio de Laurentiis, Antonio D'Amato e Gabriele Galateri di Genola.

Qualcuno sospetta che la politica abbia messo il suo zampino, lo scorso marzo, anche nella nomina di Andrea Manzi a segretario generale (per la prima volta il ruolo viene stipendiato) della Fondazione. Ex giornalista del "Roma", Manzi è infatti sposato ad Anna Ferrazzano, tendenza Pdl e vicepresidente della Provincia di Salerno. Ente che ha i suoi rappresentanti in consiglio della Fondazione.

La "cricca di Ravello", come la chiamano in Costiera, è sempre più potente. E con l'amico Brunetta alla presidenza Amalfitano può dormire ancora sonni tranquilli: difficilmente Renato gli leverà i 25 mila euro l'anno che prende - nonostante sia da anni a Roma al Formez - come "direttore" di Villa Rufolo, luogo incantato dove si tengono eventi musicali. In fondo, chi rinuncerebbe a 25 mila euro in più in tempi di crisi?

http://espresso.repubblica.it

PER UNA VOLTA TANTO!!!

CONSERVATORIO/ Il destino dei musicisti e la mancata riforma degli studi musicali

di Pietro Blumetti
Il mese scorso è stato approvato al Senato un Disegno di legge (il DDL 1693) molto importante per i musicisti italiani. Si tratta di una norma relativa alla Riforma degli Studi musicali che, tra le altre cose, dispone l’equiparazione dei Diplomi di Conservatorio del vecchio ordinamento ai Diplomi accademici di II livello del nuovo ordinamento (lauree magistrali).

Disposizione molto importante perché, finalmente dopo 10 anni, cancella una grave ingiustizia; quella che nel lontano 2002 subirono tutti i musicisti italiani, a causa di un Decreto Legge che svilì il loro Diploma di Conservatorio, equiparandolo solo al nuovo Diploma di 1^ livello invece che a quello di 2^ livello; “il massimo” titolo accademico posseduto da ogni musicista (e che formalmente rappresentava da sempre la gloriosa cultura musicale espressa dal nostro paese ed esportata in tutto il mondo) diveniva in un sol colpo “il minimo” titolo accademico.

Naturalmente solo ai musicisti italiani è stato riservato un tale trattamento; infatti in merito alla riforma degli altri istituti Universitari, tutti i titoli accademici conseguiti ai sensi del precedente ordinamento sono stati subito equiparati ai nuovi “massimi” titoli accademici.
Infatti, se tutti gli avvocati o i medici italiani avessero subito anch’essi lo stesso trattamento riservato ai musicisti, e dunque si fossero anch’essi visti deprezzare, con un”urgente” decreto legge, la loro prestigiosa laurea ci sarebbe stata una vera e propria rivoluzione.

Sembra incredibile, ma per provare a rimediare a tale assurdità ci sono voluti dieci anni. Nell’attesa che tale Disegno di legge ottenga anche il voto favorevole nel successivo passaggio alla Camera, ritengo opportuno fare alcune considerazioni per illustrare le motivazioni che hanno dato vita ad una tale norma; per comprendere quali siano stati gli errori compiuti in quest’ultimo decennio, nel portare avanti la Riforma degli Studi musicali (…una non-Riforma).

Sono state veramente tante, troppe, le persone (politici -in primis-, docenti di conservatorio, giornalisti, musicisti famosi ed affermati, docenti della scuola secondaria) che non hanno svolto degnamente il proprio ruolo costruttivo, propositivo, di controllo e verifica su quanto relativo alla Riforma degli Studi musicali.
Una Riforma, è il caso di ricordarlo, iniziata nel lontano 1999, con la legge di Riforma dei Conservatori (l. 508/99) e con quella che ha istituito i Corsi ad Indirizzo Musicale nella scuola secondaria (l. 124/99); una legge importantissima, che ha ricondotto tali corsi ad ordinamento, dopo una sperimentazione ventennale, inserendoli come disciplina inter pares nella scuola italiana (anche se, purtroppo, in percentuale molto ridotta e come materia facoltativa).

In tutti questi anni nessuno politico ha denunciato con la doverosa forza quanto fosse stato ingiusto decretare improvvisamente l’ignoranza di tutti i musicisti italiani; contro una tale assurdità non si è purtroppo neppure alzata con la necessaria forza la voce dei tanti musicisti italiani affermati e famosi in tutto il mondo; eppure anche il valore e la dignità del loro glorioso titolo accademico venivano clamorosamente calpestati; anche il loro glorioso Diploma, “il massimo” titolo accademico, diveniva in un sol colpo inferiore a un inesistente e fantomatico nuovo “massimo” titolo accademico; un titolo che non poteva e non può essere quindi posseduto neppure dagli stessi docenti che sono chiamati a conferirlo ai propri allievi.

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sabato 26 novembre 2011

SANTA CECILIA E OPERA: DISPUTA RISOLTA DALL’INTERVENTO DEL SINDACO

Il sindaco di Roma Capitale ha risolto la disputa che era nata tra il Teatro dell’Opera e l’Accademia di Santa Cecilia. Il Soprintendente Bruno Cagli aveva diffuso una lettera in cui si lamentava dei fondi destinati al Teatro inseriti nel decreto di Roma Capitale. Ma Alemanno ha subito chiarito la volontà di “modificare, attraverso un percorso parlamentare, la legge su Roma Capitale e ad includere in ogni riconoscimento anche Santa Cecilia”.

“Non c’è, da parte nostra, nessuna volontà di mettere in discussione Santa Cecilia – ha aggiunto Alemanno – che ha già raggiunto l’autonomia con legge 800 mentre l’Opera di Roma era rimasta indietro. Santa Cecilia e l’Opera di Roma sono due gioielli della realtà lirico-sinfonica romana e dobbiamo difenderle con pari determinazione”.

Nel pomeriggio è arrivato, per fortuna, l’incontro chiarificatore. “Ho incontrato il maestro Cagli e il sovrintendente del Teatro dell’Opera, De Martino – ha spiegato il primo cittadino – La riunione è andata molto bene ed abbiamo superato qualsiasi equivoco: ho dato garanzia che anche Santa Cecilia sarà inclusa nel decreto legislativo di Roma Capitale che deve dare ampio riconoscimento alle due grandi fondazioni lirico-sinfoniche della Capitale”. Infine il sindaco ha espresso l’auspicio “che per la prima volta nella storia ci sia un’iniziativa culturale comune, un grande concerto che veda coinvolti insieme il Teatro dell’Opera di Roma e l’Accademia di Santa Cecilia”.

http://www.romacapitalenews.com


mercoledì 28 settembre 2011

Casse vuote al Petruzzelli interviene il Comune


Attesi da Roma oltre 3 milioni di euro: a rischio gli stipendi, in bilico anche la stagione. Palazzo di città mette prova a tamponare con il fondo di riserva
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Profondo rosso, come il colore del velluto che avvolge le 530 poltrone Frau sistemate in bella mostra per arredare la platea del quarto teatro del Belpaese. Rosso è anche, e soprattutto, il colore della cassa della fondazione Petruzzelli. Non c'è più un centesimo, e non perché il quattordicesimo ente lirico italiano costituito nel 2003 abbia, a quanto pare, le mani bucate. La ragione, spiegano a denti stretti nel quartier generale di via Putignani, è che aspettano da Roma il saldo del Fondo unico per lo spettacolo: qualcosa come 3 milioni 300mila euro, mentre l'anticipo di 3 milioni 900mila era stato accreditato a febbraio di quest'anno. Nessuno può puntare l'indice accusatore contro il ministero dei Beni culturali: sembra che sia Giulio Tremonti, titolare dell'Economia, ad aprire con ritardo i cordoni della borsa. Tutta colpa della crisi, forse. E della manovra economica che solo da qualche ora diventa legge e che tra una tassa e l'altra, fa marciare col passo della lumaca i trasferimenti statali.

Ma tant'è. Se alla Fondazione non sono alla canna del gas, manca poco. Perché possa essere almeno rianimata con una "soglia minima necessaria nell'immediato per assicurare il proseguimento delle attività", la giunta Emiliano ieri autorizza il prelievo dal cosiddetto fondo di riserva della somma pari a 500mila euro. Tuttavia come stanno le cose la "continua incertezza" (economica) non permette a nessuno di tirare il fiato. Rischiano di non essere pagati gli stipendi: quelli dei 22 dipendenti assunti a tempo indeterminato e di più o meno 150 fra orchestrali, coristi, tecnici, amministrativi. Il blocco della programmazione, inoltre, è come una spada di Damocle che pende sul politeama: immaginare l'inaugurazione della nuova stagione, il 6 dicembre, sarà come giocare alla roulette russa.

No, l'aria non è delle migliori. Per il 2011, gli enti locali che un po' coccolano e un po' strapazzano la Fondazione come si fa con un neonato non si tirano indietro e versano nei forzieri 10 milioni di euro: 1 milione 500mila l'amministrazione comunale, 600mila la Provincia, 500mila la camera di commercio, 2 milioni il governo Vendola. Ci sono poi quei 3 milioni 900mila euro recapitati dal Fus sette mesi fa. Però il fido Bnl - 3 milioni 300mila, tanti quanti sono i quattrini che ancora non figurano presenti all'appello - sarebbe agli sgoccioli.

La somma è zero. A parte il mezzo milione piovuto come l'angelo vendicatore Charlton Heston in un film del 1995, da Palazzo di città. Faceva sapere in mattinata Michele Emiliano agli assessori, attraverso il vicesindaco Alfonsino Pisicchio: "Pur essendo trascorsi circa due anni dalla consegna del Petruzzelli, a tutt'oggi non sono arrivati chiari segnali da parte del ministero (dei Beni culturali, ndr) di una particolare attenzione nei confronti della Fondazione al fine di garantire la messa a regime di un'azienda, che non ha mai avuto nemmeno un contributo straordinario per la fase di avviamento di un congruo patrimonio sociale".

di LELLO PARISE

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Il Piccinni chiude, fuga degli abbonati



CRONACA di una fuga annunciata. Chiamiamolo effetto Piccinni: è la chiusura del più antico palcoscenico cittadino per i più volte rinviati lavori di restauro e messa a norma ad aver determinato una significativa flessione nel rinnovo degli abbonamenti alla stagione comunale di prosa. Non piace, insomma, la soluzione di emigrare al cineteatro Royal, benché si tratti di un contenitore culturale nel cuore della città. Lo dimostra il calo, ad oggi, di circa il 25 per cento degli abbonamenti, senza contare la ridotta capienza di 530 posti del Royal rispetto ai 600 del Piccinni.

E alza le spalle Carmelo Grassi, presidente del Teatro pubblico pugliese che, insieme con il Comune, è l'artefice della stagione di prosa. «Questa reazione da parte del pubblico, così affezionato al Piccinni - riconosce - ce l'aspettavamo e, dunque, l'avevamo messa in preventivo a priori. Diciamo che l'auspicio, semmai, è recuperare il calo attraverso il dato dello sbigliettamento per ogni singolo spettacolo in cartellone, fatto salvo che non è ancora detta l'ultima parola. La stagione, d'altra parte, prenderà avvio il 16 e 17 novembre». Sul palcoscenico del Petruzzelli, dove unico allestimento di prosa in cartellone al politeama, andrà in scena in esclusiva regionale Idiotas di Fëdor Dostoevskij per la regia del maestro Eimuntas Nekrosius. Sette invece i titoli in programma al Royal - altri otto spettacoli secondo tradizione saranno rappresentati fra il Forma, il Kismet e, new entry, Showville - il dato del calo d'affluenza tuttavia esiste.

«Certo se avessimo avuto a disposizione il Kursaal Santalucia - ammette Grassi - lo choc sarebbe stato senza dubbio minore e non ci sarebbero state queste defezioni. Il pubblico del Piccinni è legato al suo teatro in maniera intensa e, già nel passato, durante l'itinerare della stagione, abbiamo constatato che si spostava assai difficilmente». Che fare, allora? Il rischio è la dispersione di un patrimonio di spettatori consolidato attraverso un lavoro lungo oltre un decennio. «Ci toccherà "costringere" i nostri abbonati a convincersi - dice Grassi - che questo trasloco temporaneo non sarà così traumatico. Stiamo cercando, intanto, di rendere più teatrale il Royal, per offrire un ambiente più accogliente e dare vita anche a un ingresso più simile a un foyer.

Fatto sta che, a differenza del Piccinni, forte sì di una maggiore capienza ma non sempre così agevole, al Royal il pubblico vedrà bene dappertutto». E l'incubo del parcheggio dell'automobile? La posizione del Royal non è certo fra le più agevoli a questo scopo. «Stiamo lavorando per una convenzionerassicura Grassi - con un parcheggio vicino al teatro».

Attesa in questi giorni la stipula del contratto di locazione del Royal - sarà sottoscritto dal Teatro pubblico pugliese e limitatamente alle esigenze della stagione di prosa- un altro rebus da sciogliere, piuttosto, è come il Piccinni potrà essere sostituito per quella pluralità altra di spettacoli, concerti e iniziative messe in campo non solo dall'associazionismo culturale cittadino ma anche dallo stesso Comune. Lunedì prossimo, nel frattempo, scadrà la gara per l'affidamento dell'ufficio di direzione tecnica dei lavori - la posta in gioco per l'incarico, si partecipa con un'offerta sia tecnica che al ribasso è di circa 700mila euro e, di lì a poco, sarà nominata una commissione che vaglierà le proposte pervenute. A meno di intoppi in corso d'opera, ovvero ricorsi da parte degli esclusi, la cantierizzazione del Piccinni potrebbe così prendere avvio ragionevolmente per la fine di ottobre.

ANTONIO DI GIACOMO

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mercoledì 7 settembre 2011

Sciopero delle maschere, guerra di logoramento Trattative a oltranza alla Scala


Teatro alla Scala di MilanoProseguono gli incontri con i sindacati per evitare la serrata di venerdì. Al centro del contendere il nuovo contratto per i lavoratori

Milano, 7 settembre 2011 - «Un parto difficile», lo definisce un sindacalista. Trattative a oltranza alla Scala per scongiurare lo sciopero di venerdì. Fosse confermato lo stato di agitazione, salterebbe la trasferta della Staatsoper di Vienna, attesa a Milano nell’ambito di uno scambio culturale con il Piermarini; la stessa sera, in Austria, orchestra e coro del Piermarini si esibiranno con la Messa da requiem di Verdi («Quel concerto si farà», hanno sempre assicurato i sindacati), diretti dal maestro Daniel Barenboim; gli artisti austriaci, invece, dovrebbero portare in scena il Fidelio di Beethoven. Il condizionale resta d’obbligo, anche perché i negoziati sono andati avanti fino a tarda notte: alle 22 di ieri sera, era tutto ancora in stand-by.

Insomma, Cgil e Uil alla guerra contro la direzione del teatro, accusata di aver violato i patti e di aver modificato in corsa (senza consultare i rappresentanti dei lavoratori) il contratto di personale di sala, le cosiddette «maschere», e serali (truccatori, sarti, parrucchieri).

Giornata campale in via Filodrammatici: prima la riunione (dalle 13 alle 15) tra i delegati Cgil e Uil e gli iscritti, poi l’ennesimo vertice con la dirigenza dell’ente lirico-sinfonico. Tuttavia, sette ore di confronto serrato non sono bastate per mettere fine alla vertenza iniziata quasi una settimana fa con una lettera inviata dai due sindacati a Lissner, al direttore generale Maria Di Freda, al direttore del personale Domenico Mecca e, per conoscenza, al nuovo presidente della Fondazione scaligera, il sindaco Giuliano Pisapia. «È stato violato lo Statuto dei lavoratori», denunciano Cgil e Uil.

In poche parole, il teatro avrebbe subordinato la firma dell’accordo alla «dichiarazione di dati personali»; si parla di informazioni su un’eventuale seconda occupazione delle «maschere». Inoltre, i sindacati non hanno risparmiato critiche alla gestione del sovrintendente Stéphane Lissner, definendola la sua condotta «inaffidabile» e accusando il numero uno francese di aver portato il sistema di relazioni in teatro «a un punto di degrado tale da ravvisare gli estremi di un atteggiamento sindacale».

Una cosa è certa: la cancellazione dell’opera firmata Staatsoper sarebbe una figuraccia internazionale. Come quella sfiorata nell’estate scorsa, quando una minaccia di sciopero mise in pericolo la tournée scaligera a Buenos Aires. In quell’occasione, tutto rientrò, anche grazie a un impegno diretto dell’allora primo cittadino Letizia Moratti. E oggi? È ancora tutto in discussione. A due giorni dallo spettacolo dei viennesi.

di Nicola Palma

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domenica 28 agosto 2011

VENDOLA: ENNESIMA LEZIONE MORALE, SFIDA TREMONTI E CREA “PUGLIA SOUND”. I SOLDI VANNO SAPUTI INVESTIRE


Nichi Vendola non si dà per vinto e continua la sua battaglia. La nuova sfida si chiama “Puglia Sound”, un progetto musicale, un ”rinascimento culturale” per la regione pugliese ma anche per tutta l’Italia. Dopo la chiusura dei rubinetti da parte di Tremonti “Con la cultura non si mangia”, Vendola ribatte “Non è vero che con la cultura non si mangia, in temi di crisi è una risorsa morale” Su di essa la Regione ha puntato le risorse finanziarie del Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale con l’obiettivo di realizzare un virtuoso indotto.
Con un intervista a Repubblica il governatore della Puglia parla dell’idea: “Quando il cielo è offuscato dalle nubi oscure della crisi e della recessione, è il momento in cui bisogna investire in cultura, antidoto alla crisi per ragioni di civiltà ma anche materiali. Abbiamo immaginato di poter costruire un sistema produttivo complesso, legato a più filoni culturali, “Puglia Sound è un’etichetta chehttp://www.blogger.com/img/blank.gif mette insieme i musicisti pugliesi, li aiuta a superare le difficoltà di ogni passaggio della vita artistica. Avere i luoghi in cui provare, gli spazi e le tecnologie per produrre musica, li aiuta a conoscerci e a scoprire il mondo, a internazionalizzarsi. Contemporaneamente, aiuta la Puglia a sprovincializzarsi dal punto di vista musicale, perché è un’etichetta che diventa polo d’attrazione per musica di qualità a livello mondiale. Si tratta di un altro segmento importante di quel distretto industriale della creatività a cui stiamo lavorando”.
Mentre il governo “destroide” chiude tutti i battenti alla cultura, allo spettacolo (al di fuori di quello televisivo alla Maria De Filippi), qualcuno cerca la rivolta e lo fa silenziosamente, senza chiedere, ma solamente sfruttando le risorse che ha. Bisognerebbe imparare tutti…

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domenica 10 luglio 2011

Contro la chiusura, occupato il Valle In «scena» Germano e Gifuni



L'azione di un centinaio di «lavoratrici e lavoratori dello spettacolo auto-organizzati». Tre giorni di spettacoli


ROMA - Il Teatro Valle è stato occupato. Martedì 14 giugno, il blitz di un centinaio di artisti e lavoratori dello spettacolo ha riaperto la sala che la liquidazione dell’Eti (Ente teatrale italiano) ha serrato in attesa della privatizzazione. E che ora «rischia la chiusura» o la paventata trasformazione in un «bistrot». Gli occupanti hanno intenzione di rimanere in platea per almeno tre giorni, organizzando anche spettacoli ed eventi per il pubblico, «per chiedere trasparenza e chiarezza sul destino di uno dei Teatri più importanti d'Italia attraverso la creazione di una commissione competente».

«RIPRENDIAMOCI IL VALLE» - «Come l'acqua, l'aria ora la cultura» e «Riprendiamoci il Valle», sono gli slogan che si leggono sugli striscioni che sono stati appesi dall'ultima galleria del teatro. «I lavoratori dello spettacolo autorganizzati che in questi mesi si sono mobilitati per i ripetuti attacchi subiti dal mondo dell'arte e del sapere, hanno occupato il Teatro Valle che rischia la chiusura a seguito della soppressione dell'Ente teatrale italiano» spiegano gli occupanti.

L'APPELLO - Gli occupanti hanno inoltre lanciato un appello, sottoscritto da moltissimi personaggi della cultura e dello spettacolo, da Franca Valeri ad Andrea Camilleri, da Toni Servillo a Fabrizio Gifuni, Elio Germano, Emma Dante, Anna Bonaiuto, Claudio Santamaria, Ascanio Celestini, Sabina Guzzanti, Maya Sansa e tanti altri. Nell'appello gli occupanti scrivono di volere «difendere il patrimonio artistico del Paese. Le politiche governative stanno dismettendo - scrivono - una funzione essenziale che la Costituzione italiana assegna allo Stato: la promozione e la tutela dei Beni culturali». E aggiungono anche che «come lavoratori dello spettacolo, della cultura e dell'arte vogliamo essere riconosciuti come interlocutori indispensabili nelle scelte politiche che riguardano il nostro settore, il nostro lavoro, la nostra vita». La mobilitazione di oggi, scrivono ancora gli occupanti, «perché il Teatro Valle venga realmente destinato all'innovazione artistica con un respiro nazionale e internazionale secondo la sua naturale vocazione, attraverso un progetto di assegnazione pubblico, trasparente e partecipato» e per rivendicare che il settore dello spettacolo è «vivo» e «produce eccellenze e risorse economiche».

COMMISSIONE PER IL BANDO - «L'assessore capitolino alla cultura Dino Gasperini – aggiungono i lavoratori - ha dichiarato che si impegnerà per la tutela del Valle e della sua identità. Queste rassicurazioni non bastano. Chiediamo trasparenza e chiarezza. Chiediamo che gli artisti e i professionisti del settore vengano coinvolti a livello progettuale e decisionale sul destino di uno dei Teatri più importanti d'Italia attraverso la creazione di una commissione competente».

L'APPELLO PER L’ARTE - Nel primo pomeriggio di martedì 14 è prevista la conferenza stampa sull’occupazione, mentre alle 16, prende il via l'assemblea dal titolo «Cronaca di una morte annunciata: dal Valle a Cinecittà, la gestione dei beni e delle risorse culturali in Italia». Alle 20, invece, partono gli spettacoli sul palcoscenico che coinvolgeranno artisti famosi. Già un centinaio di intellettuali hanno firmato l’appello per un impegno comune sul futuro del Valle e dell'arte in Italia: tra questi Andrea Camilleri, Toni Servillo, Ascanio Celestini, Fausto Paravidino, Emma Dante, Filippo Timi, Valerio Mastandrea, Anna Bonaiuto. Il primo ad arrivare al teatro alle 11, è stato Elio Germano. Camicia verde e zaino in spalla, saluta gli amici e i colleghi, entrando dall’ingresso secondario degli artisti, e subito avverte. «Ce l’abbiamo fatta, grandi! Ora faccio un po’ di telefonate e chiamo altri miei amici».

PROTESTA SENZA SIGLE - Elio Germano già spicca anche nella scaletta delle esibizioni previsti dagli auto-organizzati, che, come ci tengono a sottolineare, non rivendicano sigle, ma sono liberi di mobilitarsi per avere garanzie sul futuro e l’identità del Valle. Germano sarà protagonista sul palco dello storico teatro, in coppia con lo scrittore Andrea Camilleri, per mercoledì, per la seconda serata di occupazione, con un discorso d’apertura. Stasera, invece, dalle 20, si alterneranno nelle performance, Maddalena Crippa, con un estratto della Costituzione di Calamandrei, e una poesia, Spazio di Alda Merini, Fabrizio Gifuni con estratto da L’ingegner Gadda va alla guerra, Pietro Sermonti con Stasera il mio nome è Bondi, James Bondi e Danilo Nigrelli con Questa è l’acqua di Foster Wallace. Domani sera, dopo l’ouverture di Elio Germano e Camilleri, sempre Germano in coppia con Theo Teardo eseguirà un recital tratto da Viaggio al termine della notte. Ancora Vinicio Marchioni con Rock in Urss di Nikolaj Lilin. Per la terza serata di occupazione sono attese Franca Valeri, Giovanna Marini e Sabina Guzzanti.

LA REPLICA DELL'ASSESSORE - «Sulla questione del Valle non sono solo rassicurazioni, le mie, ma molto di più. Domani abbiamo in giunta la delibera che ci consentirà di firmare il protocollo col ministero dei Beni culturali e quindi di mantenere pubblico il Valle facendolo passare dal ministero all’Amministrazione comunale. Stiamo lavorando già per un’assegnazione del Valle al Teatro di Roma» Arrivato subito al Teatro Valle, appena appresa la notizia dell’occupazione, l’assehttp://www.blogger.com/img/blank.gifssore alla Cultura di Roma Capitale Dino Gasperini ha incontrato una delegazione del gruppo di lavoratori e lavoratrici autorganizzati che hanno occupato il Valle. Di fronte alle richieste di alcuni esponenti della delegazione di vedere garantite la trasparenza e la chiarezza nelle procedure di bando pubblico, Gasperini ha replicato: «Non ho nessuna difficoltà a mettere insieme un gruppo di lavoro che verifichi questa operazione. Ragioniamo sul gruppo di lavoro che possa accompagnare la redazione del bando. In modo che abbiate tutte le garanzie per partecipare e non ascoltare. Il Teatro Valle ce lo teniamo saldamente in mano. Nessuno smantellamento, e questo è una garanzia evidente».

Carlotta De Leo

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Il gioco del cinema…


Due casi paralleli in cui le scelte d’opzione divergono sensibilmente in funzione del mercato ma anche del dominio culturale locale. Il cinema Palazzo di Roma ed il cinema Gambrinus di Firenze. Il primo, in via di ristrutturazione mutando la destinazione a sala giochi, il secondo riqualificato in una visione prospettica in cui musica e cinematografia si fondono per l’essenziale nutrimento cerebrale. Sabina Guzzanti a Roma e’ in prima fila nella battaglia contro lo strapotere della Camene, societa’ investitrice nel progetto, di cui parte delle azioni sono detenute dalla Finanziaria Stube e dietro la quale figurano i nomi della cricca Anemone-Balducci. Il PopolodelleLibertà e’ coinvolto nello scontro, quando Capezzone e Aracri si schierano a favore della nuova sala giochi, lanciando insulti ai “facinorosi” protagonisti di una temporanea manifestazione il cui scopo e’ la sensibilizzazione della cittadinanza che, in particolare nel quartiere di San Lorenzo a Roma, non ha alcuna necessita’ di gettare tempo e denaro nell’industria del gioco e tanto meno di veder crescere le future generazioni in preda alla speranza di vincite occasionali, sviluppando possibili dipendenze psicologiche. “Vi da’ fastidio che la cultura non sia piu’ monopolio della sinistra” affermano i simpatizzanti del gioco, definendo cultura cio’ che proprio non ha nulla da condividere con l’enorme potenziale cinematografico.
A Firenze invece, i Simple Minds inaugurano la nuova destinazione dell’ex cinema Gambrinus, insieme al Sindaco Matteo Renzi ed altri artisti, che e’ divenuta la nuova tessera del grande puzzle Hard Rock Cafe’ di Orlando (Florida), che conta piu’ di 150 filiali in tutto il mondo. Il locale sara’ la sede per le performance di gruppi locali in cerca di riconoscimento, nonche’ per la proiezione di films attinenti alla cultura Rock. Un ristorante provvedera’ a rifocillare i giovani frequentatori che avranno la possibilita’ di visitare il museo dei cimeli delle grandi stars, come nella affermata tradizione Hard Rock Cafe’.
Come detto, due paralleli, che vedono potenze economiche di grosso calibro investire e gestire i capitali, in ragione degli utili futuri, con l’unica differenza che il Rock, sebbene gia’ monopolizzato interamente dall’industria discografica e dello spettacolo, costituisce il collante aggregativo umano, politico e poetico, quando le sale giochi, al contrario, sono portatrici di alienazione individuale se non anche incremento dei flussi finanziari di dubbia e illecita provenienza.
Ischia, 09 luglio 2011 h. 3.26 p.m. Mario R. Zampella

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Occupazione Cinema Palazzo: lite tra Capezzone e la Guzzanti

ROMA - «Gli occupanti stanno bloccando 50 nuovi posti di lavoro e il diritto dei romani a una cultura che sia veramente per tutti». Il Pdl condanna severamente l’«esproprio proletario» del cinema Palazzo di San Lorenzo, a Roma. Con una conferenza stampa organizzata all’hotel Nazionale di piazza Montecitorio, Francesco Aracri e Daniele Capezzone, portavoce del Popolo delle libertà, vogliono mettere «i tasselli al posto giusto e ricomporre il puzzle della giustizia». Ma qualcosa va storto. Sì perchè l’incontro diventa scontro quando a intervenire di sorpresa è Sabina Guzzanti, forse il numero uno dei sostenitori dell’occupazione che va avanti da tre mesi. Un botta e risposta che si accende da subito e non risparmia gli insulti. «Il motivo per cui gli abitanti di San Lorenzo hanno occupato- ha esordito Guzzanti con toni ancora pacati- è che aprire un casinò in un quartiere come San Lorenzo è illegale». Francesco Aracri e Daniele Capezzone (Eidon) Francesco Aracri e Daniele Capezzone (Eidon) SCONTRO VERBALE - E sulla legalità o meno si è sviluppato tutto il resto della querelle, con Capezzone che subito ha replicato chiedendo all’attrice «in base a quale regola occupa?». E Guzzanti: «Voi siete illegali, al 200 per cento». In un clima sempre più acceso, tra sostenitori di una e dell’altro, Capezzone ha affondato dicendo a Guzzanti: «Voi offendete la resistenza, la democrazia, i partigiani e la cultura». E ancora: «Fai ridere- inveisce il portavoce del Pdl- sei un’occupante abusiva, violenta e prepotente. Ce ne ricorderemo la prossima volta che parlerai di legalità». Gli abitanti del quartiere San Lorenzo cercano di entrare alla conferenza stampa (Eidon) Gli abitanti del quartiere San Lorenzo cercano di entrare alla conferenza stampa (Eidon) «COMUNISTA MILIARDARIA» - Dopo la conferenza stampa, lo stesso Capezzone in una nota ha puntato il dito contro l’attrice definendola «la comunista miliardaria che difende occupanti illegali, mentre io chi vorrebbe dare lavoro. Ecco la differenza». Secondo il portavoce «c’è un imprenditore che agisce nella legalità, che potrebbe creare decine di posti di lavoro, che potrebbe riattivare una struttura abbandonata da anni, che sta investendo una notevole somma di denaro, e invece i signori dei centri sociali hanno pensato bene di occupare tutto, e di trasformare il locale (a lavori in corso, e quindi senza alcuna sicurezza, e con gravi rischi per la salute e l’incolumità di cose e persone) in un luogo da loro gestito, ovviamente senza alcun titolo e senza alcuna legalità, nel più totale abuso». FUORI PROGRAMMA - Un fuori programma che non si aspettavano gli organizzatori della conferenza stampa, a cui erano presenti tv locali e nazionali che hanno ripreso la scena, indetta anche per sottolineare «toni e contenuti dell’operazione mediatica- così Aracri- ad alto tasso di strumentalizzazione ideologica, portati avanti da Action e dalla Guzzanti. E il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, si ricordi di rappresentare tutti i cittadini e i loro diritti e soprattutto di rispettare la Costituzione che tutela e la libertà di impresa e la proprietà privata».

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domenica 5 giugno 2011

La Scala punta sul modello Fiat "Contratti separati ai lavoratori"

La proposta: utilizzare l'autonomia per abbandonare la negoziazione nazionale. I sindacati

sono però perplessi: "Non deve essere una tappa del cammino che porta alla privatizzazione"

di PAOLA ZONCA

Il consiglio dei ministri ha appena approvato il regolamento che avvia la riforma del settore lirico e concede l’autonomia gestionale alle fondazioni virtuose, ed ecco che il vicepresidente Bruno Ermolli lancia il sasso: «La Scala potrà avere un suo contratto di lavoro specifico». Il teatro milanese, sul modello della Fiat, avrà dunque l’opportunità di dotarsi di regole proprie, bypassando il contratto nazionale. Un tema caldo, che sta già dividendo i sindacati (contrarissima la Cgil) e che probabilmente sarà al centro della discussione nei prossimi mesi.

Facciamo un passo indietro. Il regolamento ha stabilito i requisiti che le fondazioni devono avere perché venga riconosciuta loro l’autonomia: la Scala, con le sue 260 alzate di sipario, il prestigio internazionale, i sei bilanci in pareggio consecutivi, può legittimamente aspirare a una condizione privilegiata che le permetterà, tra l’altro, la certezza dei finanziamenti su un periodo di tre anni. Ma non solo. L’autonomia offrirà al primo teatro lirico italiano anche l’opportunità di dotarsi di un contratto di lavoro ad hoc, che sia sostitutivo del nazionale e dell’integrativo. «Non c’è dubbio che i principali sindacati devono lavorare nel migliore interesse della fondazione — avverte Ermolli — Avendo questa opportunità non devono perderla, altrimenti si risale al contratto nazionale». Che non viene rinnovato dal 2006, senza che sia stato fatto alcun passo avanti.

Questione delicata, che vede già le prime prese di posizione. «Siamo allineati con l’orientamento del sindacato nazionale — dice Giancarlo Albori (Cgil) — Per noi è necessario mantenere il contratto nazionale di lavoro unico. È quanto abbiamo ribadito durante l’audizione in parlamento del novembre scorso». Il pericolo, per la Cgil, è che dietro questa mossa si nasconda l’intenzione di privatizzare la Scala, il cui budget è costituito per il 66 per cento da ricavi propri: «La Scala è un bene comune, e tale deve restare». Certo però non sfugge che con lo statuto speciale per il teatro milanese potrebbero profilarsi vantaggi economici, anche per i lavoratori. Per Domenico Dentoni, della Uil, «il nostro non è un no né un sì di principio, è necessario discutere quello che ci sarà sul tavolo».

La Cisl preferirebbe che si firmasse il contratto nazionale ma, visto che le probabilità che ciò accada sono remote, va trovato il modello migliore per garantire salario, occupazione, normativa adeguata per i dipendenti. Gli autonomi della Fials tengono le bocce ferme: «Bisogna leggere attentamente il regolamento» dice Sandro Malatesta. Nessuno si spinge a ipotizzare che il cambiamento potrebbe portare a una ridefinizione generale dei contratti di lavoro. Per la Scala i vantaggi sarebbero notevoli: una contrattazione unica che, forse, eviterebbe lo stillicidio di conflitti e scioperi.

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venerdì 6 maggio 2011

Il Governo firma, festa alla Scala: una svolta storica


Approvato il regolamento speciale per gli enti lirici virtuosi, l’autonomia è realtà. Salvi i finanziamenti. Stasera sipario chiuso per lo sciopero generale indetto dalla Cgil

Milano, 6 maggio 2011 - Arriva l'autonomia. Un anno fa, la firma del presidente Giorgio Napolitano sul decreto di riforma degli enti lirico-sinfonici. Ieri, il secondo passo: il Consiglio dei ministri ha dato il via libera definitivo al primo regolamento attuativo della legge Bondi. Tradotto: riconoscimento di una forma organizzativa speciale ai teatri virtuosi. Scala di Milano e Accademia di Santa Cecilia di Roma repubbliche indipendenti nell’universo della musica italiana.

«Il primo tassello per risanare e rilanciare le fondazioni - afferma il neoministro ai Beni culturali, Giancarlo Galan -. Entro la fine del 2011 mi impegno a completare questa riforma, portando a termine tutti i restanti provvedimenti al riguardo». Al Piermarini esultano: la dirigenza di via Filodrammatici sa di rispettare tutti i rigorosi parametri artistici ed economici imposti dal Mibac.

Sette «i presupposti e i requisiti» dettati da Roma: «specificità della fondazione nella storia della cultura operistica italiana», assoluta rilevanza internazionale, eccezionale capacità produttiva, pareggio di bilancio per almeno quattro volte consecutive negli ultimi cinque esercizi, «realizzazione di rilevanti ricavi propri», significativo e continuativo apporto finanziario da parte di soggetti privati nonché «capacità di attrarre» sponsor dal 2008 in poi, entità dei ricavi provenienti dalle vendite e dalle prestazioni rese «non inferiore, nell’ultimo bilancio approvato, al 40 per cento dell’ammontare» dei fondi governativi. Ecco i numeri dell’eccellenza scaligera sul 2011: 262 alzate di sipario (di cui undici fuori sede), sei bilanci di fila in pareggio, 26 milioni di euro tra contributi privati e sponsorizzazioni, ricavi da biglietteria, abbonamenti e altri guadagni propri pari al 120 per cento degli stanziamenti ministeriali (36,178 milioni contro 28-30 in arrivo dal Fus).

Come dire, la Direzione generale competente non potrà che approvare - «entro quarantacinque giorni dalla ricezione» - la domanda presentata dal sovrintendente Stéphane Lissner; a quel punto, la richiesta sarà inoltrata al Mibac, che avrà un altro mese e mezzo per dire sì. Insomma, entro la fine dell’estate l’autonomia sarà realtà. Al Piermarini stanno già lavorando all’adeguamento dello statuto della fondazione (stamattina è in programma il Consiglio d’amministrazione), che, come previsto dal comma 4 dell’articolo 5 del nuovo regolamento, può essere trasmesso «contestualmente all’istanza di riconoscimento della forma organizzativa speciale». E i vantaggi? La legge parla di «erogazione del contributo statale sulla base di programmi di attività triennali corredati dei relativi budget preventivi». E, precisazione da non sottovalutare in caso di eventuali tagli alla cultura, garantisce fondi «almeno pari alla percentuale conseguita dalla medesima fondazione in occasione dell’ultima assegnazione precedente» all’autonomia.

Quindi, niente riduzioni del Fus per gli enti virtuosi. E ancora, la dirigenza di via Filodrammatici avrà «la facoltà» di negoziare direttamente con i sindacati «un autonomo contratto di lavoro che regoli all’unico livello aziendale» tutte le materie dell’intesa nazionale. In questo caso, però, bisognerà trovare la quadra con le sigle più rappresentative (Cgil, Cisl, Uil e Fials): «in mancanza di accordo tra le parti protrattasi per sei mesi - si precisa nel regolamento - si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro». A sentire le reazioni dei segretari territoriali, sarà questo il nodo da sciogliere nei prossimi mesi: «Non se ne parla neanche», il commento tranchant di Giancarlo Albori, numero uno della Slc-Cgil. Cauta la Uilcom: «Aspettiamo di leggere nel dettaglio la normativa prima di dare un giudizio nel merito», chiosa Domenico Dentoni.

di Nicola Palma

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mercoledì 4 maggio 2011

Scala, un contratto tutto suo Senza passare da Roma


Il sottosegretario Giro e i vantaggi dell’autonomia. "Il regolamento speciale sarà approvato tra due settimane"

Milano, 4 maggio 2011 - «Ci siamo quasi: tra un paio di settimane il Parlamento varerà il regolamento speciale per le fondazioni virtuose». Tradotto, autonomia gestionale. Cioè, finanziamenti su base triennale e facoltà di negoziare il contratto direttamente in teatro. Il sottosegretario ai Beni culturali, Francesco Maria Giro, non può dirlo ufficialmente, ma i bilanci degli enti lirico-sinfonici lasciano poco spazio alle supposizioni: solo Scala di Milano e Santa Cecilia di Roma beneficeranno dei vantaggi del nuovo statuto.

Sottosegretario Giro, a che punto è l’iter legislativo per i regolamenti attuativi della legge 100 di riforma delle fondazioni lirico-sinfoniche?
«Siamo alle battute finali: il regolamento ha già ottenuto il parere favorevole delle Commissioni Cultura di entrambi i rami del Parlamento. Credo che diventerà legge entro le prossime due settimane».

E poi?
«Chiederemo ai quattordici enti lirici di fornirci la documentazione per il riconoscimento dello statuto speciale».

Quante domande si aspetta?
«A giudicare dai conti delle fondazioni, dovrebbero essere al massimo due».

Cioè, Scala e Santa Cecilia.
«Sono gli unici due teatri a soddisfare i requisiti richiesti: pareggio di bilancio negli ultimi cinque anni, elevata produzione artistica e cospicua percentuale del contributo privato rispetto a quello pubblico».

Si è parlato tanto di autonomia in questi mesi. Cosa cambierà davvero?
«Le fondazioni speciali potranno programmare con più serenità: i finanziamenti saranno erogati su base triennale».

Facciamo un esempio.
«La Scala quest’anno dovrebbe ottenere quasi 30 milioni di euro dal Fondo unico per lo spettacolo: dovesse ottenere l’autonomia, il contributo statale resterebbe quantomeno immutato fino al 2014».

Anche se il Fus venisse tagliato?
«Sì, anche se voglio sottolineare che quest’anno abbiamo aumentato gli stanziamenti rispetto al 2010. E c’è anche un altro vantaggio».

Quale?
«La dirigenza di via Filodrammatici avrà la facoltà di negoziare direttamente con i sindacati del teatro il contratto di lavoro».

Nascerà il contratto Scala?
«Sì, se le parti saranno d’accordo. Gli altri enti, invece, dovranno sedersi al tavolo col Ministero dei Beni culturali».

di Nicola Palma

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LA LIRICA S'INTERROGA SUL SUO FUTURO

La lirica s`interroga sul suo futuro Incontro a Roma con economisti e operatori.«Il primo problema? Poche produzioni e con costi troppo alti» Serve una decisa iniziativa politica che dia risposte forti e chiare ai problemi delle Fondazioni liriche, in termini di nuove forme organizzative, aumento della produttività e della qualità della produzione. È quanto è emerso nel corso del convegno Lopera lirica:

un futuro è possibile?, orga- nizzato a Roma da Federculture e dall`Associazione per l`Economia della Cultura, che ha riunito intorno a un tavolo economisti e operatori del settore.

Tutti hanno concordato su un punto fondamentale:

«l`opera lirica è una componente culturale primaria del Paese, un bene dal valore collettivo universalmente riconosciuto e fortemente identitario.

Ma va certamente ridefinito l`aspetto gestionale e finanziario delle Fondazioni che, mai come nell`ultimo anno, sono state investite dalla crisi economica al punto da portare alcuni Teatri a un passo dalla chiusura. Il peggio è stato scongiurato grazie al reintegro del Fus che ha riportato ai teatri d`opera 212,6 milioni di euro, ma l`emergenza finanziaria delle Fondazioni liriche rimane e restano aperti i problemi relativi alla riorganizzazione e alla riforma del sistema, non esauriti dalla legge 100/2010 della quale sono in fase di approvazione i decreti attuativi.

Uno dei nodi da sciogliere, secondo i partecipanti al convegno, è certamente la questione dell`incremento della produttività. Nel 2009 i nostri teatri lirici hanno messo in scena in media 77 recite d`opera ciascuno (dalle 125 della Scala alle 25 del San Carlo) contro, per esempio, le 226 recite della Staatsoper di Vienna, le 225 del Metropolitan di New York, le 203 dell`Opernhaus di Zurigo, le 184 dell`Opèra di Parigi. Nonostante negli ultimi dieci anni i teatri d`opera abbiano ricevuto contributi pubblici per oltre 3,4 miliardi di euro, hanno accumulato perdite per quasi 180 milioni di euro;

il patrimonio netto evidenzia un saldo negativo di oltre 58 milioni di euro; i debiti sono cresciuti di 121 milioni di euro, raggiungendo il totale di 282 milioni di euro.

Pochi numeri che descrivono una crisi severa e portano in primo piano il problema delle risorse.

R.Sp.

Da "AVVENIRE" di mercoledì 4 maggio 2011

lunedì 18 aprile 2011

Fondi reintegrati Verdi, salva l'attività ma buco di 4 milioni

di Gabriella Ziani
Non calerà il sipario per sempre. Anche se il "rosso" in bilancio è inevitabile. Dopo che all'ultimo minuto il Governo ha ripristinato, aumentando il costo della benzina, di 149 milioni di euro i finanziamenti, quel Fondo unico per lo spettacolo (Fus) i cui tagli draconiani sembravano dover mandare alla naftalina tutti i lirici, l'altro giorno la Consulta dello spettacolo ha approvato all'unanimità - sentita la relazione del neoministro alla Cultura, Giancarlo Galan - il riparto della cifra complessiva di 414,6 milioni di euro, assegnando alle Fondazioni liriche il 47% del totale, 191.576.700 euro.
Al Verdi di Trieste si tira un sospiro. Nel 2009 aveva scritto a bilancio 14 milioni, già risultato di numerosi tagli.
A fine 2010 se ne è visti togliere altri quattro. Se le cose non fossero cambiate ne avrebbe avuti adesso sette, la metà esatta. Ma non son tutte rose.
Profonde ristrutturazioni sono in vista.
Anche se la programmazione è salva: il calendario della prossima stagione sarà presentato mercoledì in Consiglio di amministrazione. Di certo c'è il numero scritto in fondo al bilancio consuntivo del 2010: «Chiudiamo con 4 milioni di deficit - afferma Giuseppe Ferrazza, direttore degli Affari generali e braccio destro del soprintendente Antonio Calenda -, e sono esattamente i 4 milioni tagliati lo scorso novembre rispetto al finanziamento del 2009: non c'è dunque alcuna responsabilità della gestione precedente, tutti i teatri sono in questa stessa situazione».
Il consuntivo sarà approvato il 30 aprile.
Ma quanti soldi arriveranno da questa ripartizione per il prossimo anno, a Trieste non si sa.
«Presumo - prosegue il direttore generale - che avremo la stessa cifra dell'anno precedente, forse appena un po' aumentata».
Dunque, sempre attorno ai 4 milioni in meno, non si smetterà di tirare la cinghia. «In questa sola stagione siamo riusciti a tagliare 700 mila euro di spese, ricontrattando tutti gli accordi che erano stati presi con gli artisti: tanto lavoro in giro non c'è, e hanno accettato. Se qualcuno ha rinunciato, abbiamo sostituito adeguatamente».
La prospettiva si prolunga ora fino a luglio, e non più solo a giugno.
Il che significa operetta.
«E l'operetta - preannuncia il direttore senza
poter dettagliare prima del cda - avrà un programma perfino più ricco».
Ma il 2011-2012, prima vera stagione targata Calenda-Ferrazza, punterà molto su una riorganizzazione dei servizi che (come annunciato al momento delle nomine) metterà in comune molte cose con il Rossetti, con Calenda direttore qui e là.
«Biglietterie al servizio dell'uno e dell'altro teatro - elenca Ferrazza -, allestimenti comuni, convenzioni per i laboratori, una miglior definizione dei programmi in modo da non accavallare le proposte, danza classica solo al Verdi e moderna solo al Rossetti». L'intento è risparmiare, ma anche «mischiare il pubblico», il più adulto e il più giovane, possibilmente guadagnandone nel travaso. Dietro queste strategie anche un previsto calo di organico? Riduzioni d'altro genere? Giuseppe Ferrazza assicura:«Assolutamente no».
E aggiunge: «Vengo da fuori, ho trovato a Trieste una professionalità davvero elevata, ottimi laboratori, personale interno, tecnici, macchinisti di prim'ordine.
Questo fa sì che possiamo evitare che ogni regista si porti il suo staff.
Ci costa meno, ma nello stesso tempo valorizziamo le personalità interne».

il Piccolo di Trieste http://ilpiccolo.gelocal.it/

sabato 9 aprile 2011

Bari: beffa per il sultano dell'Oman i suoi soldi in una fondazione


Due anni fa aveva donato tre milioni al Conservatorio di Bari che avrebbe dovuto istituire borse di studio. Invece ha costituito un ente che si chiama "Giovanni Paolo II con Loiodice presidente. Sei consiglieri accademici avevano già protestato sulla procedura

di GIULIANO FOSCHINI

Chissà se Qaboos Bin Sad, il sultano dell'Oman, sa come stanno utilizzando i soldi che due anni fa donò a Bari. Chissà se, in qualità della massima autorità islamica del suo paese, sarà contento che i tre milioni di euro che aveva deciso di donare al conservatorio di Bari per far studiare i giovani musicisti non sono gestiti dall'università della musica. Ma da una fondazione privata, dedicata a Giovanni Paolo II, e presieduta da uno dei massimi esponenti dell'Opus dei a Bari, il professor Aldo Loiodice. Il Sultano probabilmente non lo sa. Ma da qualche giorno lo sa la procura di Bari che ha ricevuto, così come i giornali, un dettagliatissimo esposto sulla strana storia della donazione del Sultano Qaboos.
La vicenda - si ricostruisce nella denuncia - comincia il 22 dicembre del 2010 quando "nel corso di un collegio dei professori, il direttore del conservatorio Francesco Monopoli ha comunicato che nel maggio del 2010 era stata costituita la fondazione Giovanni Paolo II che avrebbe paradossalmente il compito di gestire il fondo del Sultano".

"Va a tal punto precisato - si legge ancora nella denuncia - che il Conservatorio essendo omologo di qualunque istituzione universitaria è dotato dalla legge di ampia autonomia: in sostanza avrebbe potuto gestire a costo zero il fondo, essendo dotato dalla legge della più ampia autonomia per farlo". Il Conservatorio sceglie invece di affidare la cifra alla Fondazione che ha il compito di stanziare 350mila euro all'anno di borse di studio. Quindi, l'ente universitario avrebbe potuto tranquillamente gestire quei soldi. Ma ha preferito invece farlo fare a una fondazione terza. Nel consiglio di amministrazione della Giovanni Paolo II - si ricostruisce nella denuncia - ci sono il professor Loiodice oltre al presidente del conservatorio, Stefano Carulli, il direttore, Francesco Monopoli, il direttore generale dell'area sulla musica del ministero, Giorgio Bruno Civello, l'avvocato Raffaele Rodio, un docente, la professoressa Giovanna Valente, e uno studente del conservatorio, la signora Angela Trentadue. Un consiglio senza dubbio di alto livello nel quale tutti gli enti - dal Conservatorio all'Università - vengono rappresentati. Ma la domanda nella denuncia è sempre la stessa: "Perché è stato fatto? Perché il Conservatorio non poteva fare tutto da solo visto che la legge glielo permetteva tranquillamente?".

L'utilizzo di quei fondi, tra l'altro, era stato già oggetto di polemica. "Il 24 giugno del 2010 - scrivono i denuncianti - sei consiglieri accademici avevano prodotto un documento di vibrante protesta in cui si lamentava l'inspiegabile silenzio degli organi preposti sulla mancata erogazione della borsa di studio". La protesta però finisce nel vuoto. Intanto vengono rinnovati i nuovi organi direttivi e così appena entra in carica il nuovo consiglio accademico ("nonostante la fondazione fosse stata creata a maggio del 2010", si legge nell'esposto), a dicembre nella prima riunione utile viene decisa la gestione dei fondi alla Giovanni Paolo II.

"Quello che non è chiaro - riflettono i denuncianti che chiedono appunto alle forze di polizia e alla magistratura di fare chiarezza - è dove sono ora i soldi e chi percepisce gli interessi. Noi non capiamo perché a distanza di due anni dalla donazione di fatto non siano stati ancora spesi". La denuncia è stata inviata al pool che si sta occupando dell'inchiesta sul tribunale amministrativo e sui concorsi universitari. Non è un caso: nell'esposto si parla anche di un contenzioso amministrativo per le elezioni interne tra alcuni docenti e il Conservatorio che vede protagonisti alcuni delle persone indagate nell'inchiesta dei sostituti procuratori Francesca Pirrelli e Renato Nitti.

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venerdì 1 aprile 2011

Si di Napolitano al decreto FUS


Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (nella foto), ha promulgato il decreto legge 34/2011 che prevede il reintegro dei fondi Fus e altri provvedimenti a favore dei beni culturali per un totale di 236 milioni di euro, attraverso l’aumento delle accise sulla benzina. Il decreto è stato pubblicato ieri sulla Gazzetta ufficiale n.74. In allegato l’art.1 del decreto che riguarda l’intervento finanziario in favore della cultura. (Foto Kikapress)

Il testo completo del decreto:

“Art. 1 Intervento finanziario dello Stato in favore della cultura 1. In attuazione dell’articolo 9 della Costituzione, a decorrere dall’anno 2011: a) la dotazione del fondo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163, e’ incrementata di 149 milioni di euro annui; b) in aggiunta agli ordinari stanziamenti di bilancio e’ autorizzata la spesa di 80 milioni di euro annui per la manutenzione e la conservazione dei beni culturali; c) e’ autorizzata la spesa di 7 milioni di euro annui per interventi a favore di enti ed istituzioni culturali. 2. All’articolo 1, comma 13, quarto periodo, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, in fine, sono aggiunte le seguenti parole: “, nonche’ il fondo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163, e le risorse destinate alla manutenzione ed alla conservazione dei beni culturali”. 3. All’articolo 2 del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, e’ abrogato il comma 4-ter, nonche’ la lettera b) del comma 4-quater. 4. Agli oneri derivanti dal comma 1, pari a 236 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2011, e dal comma 3, pari a 45 milioni di euro per l’anno 2011 ed a 90 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013, si provvede mediante l’aumento dell’aliquota dell’accisa sulla benzina e sulla benzina con piombo, nonche’ dell’aliquota dell’accisa sul gasolio usato come carburante di cui all’allegato I del testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative, di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, e successive modificazioni, in modo tale da compensare il predetto onere nonche’ quello correlato ai rimborsi di cui all’ultimo periodo del presente comma. La misura dell’aumento e’ stabilita con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle dogane da adottare entro sette giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto; il provvedimento e’ efficace dalla data di pubblicazione sul sito internet dell’Agenzia. Agli aumenti disposti ai sensi del presente comma ed agli aumenti eventualmente disposti ai sensi dell’articolo 5, comma 5-quinquies, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, non si applica l’articolo 1, comma 154, secondo periodo, della legge 23 dicembre 1996, n. 662; inoltre, nei confronti dei soggetti di cui all’articolo 5, comma 1, limitatamente agli esercenti le attivita’ di trasporto merci con veicoli di massa massima complessiva pari o superiore a 7,5 tonnellate, e comma 2, del decreto-legge 28 dicembre 2001, n. 452, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2002, n. 16, il maggior onere conseguente ai predetti aumenti e’ rimborsato con le modalita’ previste dall’articolo 6, comma 2, primo e secondo periodo, del decreto legislativo 2 febbraio 2007, n. 26. 5. Il Ministro dell’economia e delle finanze e’ autorizzato a disporre, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio”.

scarica il testo del decreto in pdf

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martedì 29 marzo 2011

Il reintegro del Fus un segnale di speranza

Dopo la mobilitazione del mondo dello spettacolo in risposta alle pesanti misure restrittive minacciate dal governo italiano, arrivano i primi parziali cambi di rotta che lasciano ben presagire. In primis il reintegro del FUS, accolto con un sospiro di sollievo dal Presidente Roberto Cicutto e dall'Amministratore Delegato di Cinecittà Luce Luciano Sovena i quali, solo pochi giorni fa, avevano lanciato un grido d'allarme per il taglio ai fondi all'importante realtà cinematografica e culturale italiana. In un comunicato congiunto, i due funzionari "accolgono con immenso favore l'intervento del Governo per il reintegro del FUS, che mette la Società in condizione di continuare la sua attività a sostegno del cinema italiano in Italia e nel Mondo; in particolare, le risorse reintegrate verranno utilizzate per la ricerca di nuovi talenti e nuovi racconti per il nostro cinema, per la vitale attività di distribuzione di opere prime e seconde, e per garantire il massimo della visibilità ai film italiani nei festival e nei mercati internazionali più importanti. Senza dimenticare la fondamentale opera di conservazione, arricchimento e divulgazione dei beni dell'Archivio Storico Luce, un patrimonio ineguagliabile di memoria e conoscenze".

In concomitanza con l'annuncio del reintegro del FUS, sembra rientrata anche l'intenzione del governo di tassare di un euro il prezzo dei biglietti degli spettacoli cinematografici, notizia che lascia ben sperare per il futuro, almeno a quanto ha dichiarato il presidente dell'Anica Paolo Ferrari. "E' un autentico punto di svolta, poiché le risorse e le tecniche di finanziamento adottate conferiscono al cinema italiano l'autonomia e la stabilità necessarie. E' anche l'affermazione del ruolo che spetta alla cultura in un Paese come il nostro e quindi una vittoria dell'Italia, nel solco dei valori costantemente difesi dal Presidente della Repubblica" aggiunge il produttore Riccardo Tozzi.

La notizia del reintegro del FUS, unita alla nomina del nuovo Ministro per i Beni e le Attività Culturali Giancarlo Galan, che prende il posto del dimissionario Sandro Bondi, ha spinto i sindacati a revocare lo sciopero previsto per venerdì 25 marzo. Resta confermata la partecipazione alle tre Giornate Nazionali per la Cultura e lo Spettacolo in programma il 26-27-28 marzo, indette con l'obiettivo di mobilitare e sensibilizzare i cittadini, l'opinione pubblica e i rappresentanti politici e istituzionali sullo stato attuale di crisi della cultura e dello spettacolo italiani e sui possibili interventi per uscire dall'emergenza.

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martedì 15 marzo 2011

FUS, assemblea Accademici e CDA di S.Cecilia respingono le dimissioni di Cagli


oma, 14 mar. - (Adnkronos) - L'assemblea degli Accademici e il consiglio di amministrazione dell'Accademia nazionale di Santa Cecilia ''respingono all'unanimita' le dimissioni del presidente Bruno Cagli, il quale, alla luce degli impegni espressi dal Governo nel comunicato stampa della presidenza del Consiglio dei ministri e della volonta' manifestata dal sindaco Alemanno di farsi promotore di un'azione congiunta per la salvaguardia delle istituzioni culturali romane, sospende le proprie dimissioni nell'auspicio di ricevere in tempi ragionevoli le risposte che finora sono mancate, anche contravvenendo a impegni pubblicamente presi''.

L'assemblea degli Accademici e il Consiglio di Amministrazione annunciano che ''rivolgeranno nei prossimi giorni un appello al Presidente della Repubblica, al presidente del Consiglio, al ministro dell'Economia e delle Finanze, al ministro per i Beni e le Attivita' Culturali e ai vertici degli Enti Locali per testimoniare lo stato di grave difficolta' in cui, a seguito dei ripetuti tagli del Fus, versa l'Accademia che, negli ultimi anni, ha incrementato la capacita' produttiva e la presenza internazionale, superando abbondantemente il 50% delle risorse proprie''.

''Tutto cio' comporterebbe, nel caso di tagli alla produzione, perdite superiori agli eventuali risparmi - concludono - L'auspicio, tanto dell'Assemblea degli Accademici che del Consiglio di Amministrazione, e' di ottenere in tempi brevi una dotazione del Fus non inferiore a quella del 2009, piu' volte indicata, anche pubblicamente, come soglia di sopravvivenza dell'intero settore''.

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La cultura crolla, Carandini si dimette


Si è dimesso Andrea Carandini presidente del Consiglio superiore dei beni culturali. Lo si è appreso dal ministero dei beni culturali. Le dimissioni sono legate agli ulteriori tagli alla cultura e allo spettacolo ed è un gesto clamororo. L'archeologo aveva sostituito Salvatore Settis che si era dimesso dall'incarico contestando le scelte (e le non scelte) del ministro Bondi. Il crollo di Pompei dell'autunno scorso può essere la giusta immagine per quel che diventa il crollo della cultura italiana.

Le dimissioni di Carandini sono - qualunque siano le dichiarazioni che seguiranno - nei fatti una sconfessione dell'operato del titolare del dicastero, oltre che del governo. E l'archeologo è uno dei più stimati e preparati non solo d'Italia.

Il Consiglio è l'alto organo consultivo del dicastero. E' formato da tecnici del ministero ed esperti come docenti universitari che valutano le politiche del ministero e le sue spese. Carandini non è l'unico che intende lasciare l'incarico nell'organismo. E all'Accademia di Santa Cecilia è in corso un cda: il sovrintendente Cagli dovrebbe confermare le sue dimissioni, sempre perché ritiene i tagli inaccettabili.

Nello sfacelo dei fondi per cultura e spettacolo "amputati", come ha giustamente scritto qualcuno, risalta un dato rivelato da Iacona a "Presadiretta" su Raitre ieri sera, domenica: questo governo ora dà più soldi alla scuola privata che allo spettacolo, con il Fondo unico per lo spettacolo - Fus - ridotto ad appena 231 milioni di euro.

Zanda: Berlusconi dovrebbe vergognarsi
Carandini «si è ribellato all'assassinio della cultura italiana». Così commenta il vicepresidente dei senatori del Partito democratico Luigi Zanda: «Berlusconi dovrebbe vergognarsi e chiedere scusa alla cultura italiana per le dimissioni di un grande archeologo e persona perbene. Di fronte all'agonia del cinema, della musica e del teatro italiano, di fronte al taglio delle risorse per la conservazione e per la tutela del patrimonio artistico, di fronte alla crisi del sistema museale, dopo le proteste di Riccardo Muti, Bruno Cagli, Daniel Barenboim e Sergio Escobar, adesso per la seconda volta nel giro di due anni - continua zanda - il consiglio superiore dei beni culturali vede il suo presidente dimettersi per protesta». Zanda conclude: «Berlusconi venga in Parlamento a cercare di discolparsi di questo delitto contro l'italia e contro gli interessi nazionali. Con quale coraggio potrà celebrare il 150esimo dell'unità d'Italia proprio nel momento in cui distrugge quel tessuto culturale che è l'elemento fondante e il cemento dello Stato unitario».

http://www.unita.it



domenica 13 marzo 2011

Nabucco, bis del pubblico con Muti "Il Va' pensiero contro i tagli"


Un Nabucco pervaso di spirito risorgimentale. Ieri sera all'Opera di Roma l'obiettivo contro cui manifestare non era l'Austria imperiale, ma i tagli ai fondi per la cultura decisi dal governo. Il sindaco di Roma Alemanno che, salito in palcoscenico, ha lanciato un appello al Governo perché la riduzione dei fondi venga "revocata". Ma soprattutto il maestro Muti, già sul podio con la bacchetta in mano, che si rivolge al pubblico e svolge questo paragone: "Il 9 marzo del 1842 Nabucco debuttava come opera patriottica tesa all'unità ed all'identità dell'Italia. Oggi, 12 marzo 2011, non vorrei che Nabucco fosse il canto funebre della cultura e della musica". Parole accolte da applausi e da una pioggia di volantini dalla balconata, che dicevano: "Italia risorgi nella difesa del patrimonio della cultura", e ancora, in una diversa versione: "Lirica, identità unitaria dell'Italia nel mondo".

Poi è cominciato lo spettacolo. Ma l'episodio più inedito doveva ancora svolgersi. Giunto al famoso coro del terzo atto, quel "Va' pensiero" che ha fatto tremare il cuore dei patrioti di un secolo e mezzo fa, la domanda era nell'aria: ci sarà un bis? Ma Muti, una volta finito il celeberrimo coro, dfa di più. Si gira verso il pubblico e dice: "Sono molto addolorato per ciò che sta avvenendo, non lo faccio solo per ragioni patriottiche ma noi rischiamo davvero che la nostra patria sarà 'bella e perduta', come dice Verdi. E se volete unirvi a noi, il bis lo facciamo insieme". E come ad un comando tacito tutti gli spettatori si sono alzati in piedi e hanno cantato insieme ai cento coristi rimasti sul palcoscenico. Un fatto assolutamente inedito, arricchito ulteriormente da un nuovo lancio di volantini pseudo risorgimentali, che dicevano: "Viva Giuseppe Verdi", oppure "Viva il nostro presidente Giorgio Napolitano"; ma anche: "Riccardo Muti senatore a vita". Da lì lo spettacolo ha imboccato la dirittura d'arrivo fino alle ultime note e ad una pioggia di oltre dieci minuti di applausi.

http://roma.repubblica.it

I tagli al F.U.S. contro gli sprechi della politica

Ecco le cifre:
46113,60 annui lordi come ministro,
5486,58 al mese come deputato: 65 838,96
4033,11
al mese come rimborso spese per soggiorno a Roma: 48 397,32
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giovedì 10 marzo 2011

Fus, via altri 50 milioni di euro Il mondo dello spettacolo in rivolta

Aggiunti ai 27 milioni "congelati" ieri, fanno in totale 77 milioni. Bondi: "Confido in chi verrà dopo di me, spero che abbia la forza per ribaltare la situazione". A rischio anche la tutela del patrimonio archeologico e i musei.Addetti ai lavori sul piede di guerra. L'opposizione: "Un massacro"

ROMA - Sandro Bondi è ancora in carica, ma parla ormai da ex ministro dei Beni culturali. All'indomani della notizia del congelamento di ulteriori 27 milioni dal Fondo unico dello spettacolo. "Comprendo la preoccupazione e la delusione del mondo della cultura in seguito alle ultime notizie riguardanti una ulteriore previsione di riduzione degli investimenti - ha detto - a questo punto posso solo confidare che chi mi succederà a breve abbia l'autorevolezza e la forza di porre rimedio e invertire l'attuale situazione". Peraltro, piove sul bagnato: i tagli - o le risorse "congelate", per usare il termine tecnico - per il complesso della cultura assommano in totale a 77 milioni di euro. Ai 27 di ieri se ne sono aggiunti oggi, nuova "amara sorpresa" (così Bondi l'aveva definita ieri), altri 50 che riguardano l'intero comparto gestito dal ministero dei Beni culturali. Il mondo dello spettacolo è in rivolta e punta alla manifestazione di sabato 12 marzo come momento principale per rovesciare la situazione.

Cinecittà a rischio chiusura L'appello

Il motivo del nuovo "taglio"
è sempre lo stesso: gli effetti - ricorda la Uil Beni culturali - della norma sui risultati dell'asta per le frequenze per le tlc contenuta in Finanziaria. Nel caso in cui si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alla previsione, il ministro dell'Economia e delle finanze provvede, con proprio decreto - dice la norma - alla riduzione lineare, fino alla concorrenza dello scostamento finanziario riscontrato, "delle missioni di spesa di ciascun ministero". Per il ministero dei Beni culturali, spiega ancora la Uil, la previsione ha comportato a far data da oggi il congelamento di 70 milioni: una mazzata che, per il sindacato, significa "la paralisi operativa di tutta l'attività istituzionale del ministero Beni culturali".

A riconoscerlo è lo stesso sottosegretario Francesco Giro: con i tagli è in crisi l'intero settore. Per il Fus poi scende nel dettaglio ricordando che, rispetto alle vecchie risorse, la musica è scesa da 56 a 35 milioni, la lirica da 196 a 122, la danza da 9 a 5, il teatro da 67 a 42, il cinema da 76 a 47. Uno sfacelo, senza appunto parlare dei 50 milioni per tutto il resto che significa - sempre per Giro - mettere in difficoltà la sopravvivenza dei beni, la tutela del patrimonio archeologico, i musei. Addetti ai lavori e opposizione non sono gli unici a protestare: lo stesso sindaco di Roma Gianni Alemanno chiede l'intervento di Berlusconi contro tagli insostenibili.

Il mondo del cinema è in prima fila: da Paolo Virzì a Silvio Orlando ai Centoautori , tutti chiedono una reazione forte, consci tra l'altro anche del rischio chiusura per Cinecittà Luce. Il maestro Pappano bolla il taglio come frutto di "ignoranza totale" e il direttore di S. Cecilia Bruno Cagli, dopo aver detto che tutto il tagliabile è stato tagliato, annuncia le sue dimissioni per il prossimo 14 marzo.

L'opposizione, da Rutelli a Melandri, da Vita a Borghesi, a Chiti alla Cgil, al Pd (che parla di "metodo Marchionne") non solo denuncia il "massacro" della cultura ma chiede con forza a Bondi di farsi da parte subito. Poi ci sono le associazioni di settore: dall'Anac, a Federculture, Federcultura, Arci, Movem09, a Legacoop: tutte schierate contro una politica considerata suicida per il settore. L'Agis annuncia che non parteciperà più alle attività consultive del ministero dei Beni culturali toccando così un punto decisivo: dovrebbe infatti essere la Commissione spettacolo (organo consultivo) a indicare la ripartizione tra i vari settori del Fus. Ma la settimana scorsa la Commissione non si è riunita per protesta contro l'inadeguatezza del vecchio Fus. Figurarsi ora.

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mercoledì 2 marzo 2011

A Santa Cecilia tutti con il Presidente


Fronte unico nella protesta contro il mancato reintegro del Fus: l’Orchestra, il Coro, il Personale tutto dell’Accademia esprimono piena solidarietà e sostegno a Bruno Cagli che si presenterà dimissionario all’Assemblea degli Accademici e al Consiglio d’Amministrazione convocati d’urgenza.

“Il mancato reintegro del Fondo Unico dello Spettacolo almeno ai livelli del 2009 – che così disattende gli impegni pubblicamente assunti dal Ministro Bondi a nome del Governo -condannerà l’intero settore della produzione culturale alla progressiva paralisi delle attività. I continui e pesanti tagli ai finanziamenti a fronte degli esigui stanziamenti previsti dal Decreto “Milleproroghe”, tolgono ogni residua speranza alla possibilità di riuscire a salvare l’immenso patrimonio culturale che tutto il mondo ci invidia.

Il Presidente dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Prof. Bruno Cagli, ha dichiarato nei giorni scorsi che non intende in alcun modo farsi complice di questa dismissione culturale e che in assenza di segnali ben precisi si presenterà dimissionario all’Assemblea degli Accademici e al Consiglio d’Amministrazione convocati d’urgenza, sottolineando che spetta ad altri assumersi la responsabilità politica di distruggere più di 400 anni di storia.

L’Orchestra, il Coro, il Personale tutto dell’Accademia, esprimono piena solidarietà e sostegno al proprio Presidente, condividendone la forte preoccupazione per il mancato reintegro del FUS e auspicano che anche i Sovrintendenti, i Consigli d’Amministrazione e i Presidenti delle altre 13 Fondazioni lirico-sinfoniche si assumano la responsabilità di un’azione altrettanto forte, corale e decisiva.

Nel caso non dovessero essere adottati i provvedimenti strutturali da tutti auspicati, i lavoratori di Santa Cecilia, accanto alla loro Istituzione, si riservano di intraprendere le necessarie iniziative per evitare quella che si preannuncia come un vero e proprio crollo del Sistema Cultura Italia”.

I Professori dell’Orchestra, gli Artisti del Coro,il Personale Tutto dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia

sabato 26 febbraio 2011

Il Milleproroghe salva la Scala e l’Arena di Verona. Ma non la Fenice di Venezia



Il governo stacca due assegni da tre milioni di euro ai due teatri. Non un euro per l'ente lirico veneziano. Il motivo? La città è amministrata dal centrosinistra

Questione di colore. Senza nessuna logica apparente, il governo, attraverso il decreto Milleproroghe, ha staccato un assegno da tre milioni di euro all’Arena di Verona e altrettanti alla Scala di Milano. Soldi arrivati grazie a equilibri politici. Verona, marchiata Lega Nord, e Milano saldamente in mano al Pdl. Così le fondazioni della lirica guidate dai rispettivi sindaci, Flavio Tosi e Letizia Moratti, portano a casa i soldi che sono stati negati a tutti gli altri teatri italiani.

Ne avrebbe avuto meno diritto la Fenice di Venezia? No, probabilmente. Ma Venezia ha scelto Giorgio Orsoni e la sinistra. Quanto basta per essere esclusa. Lo ammette candidamente Paola Goisis, deputata padovana e responsabile cultura del Carroccio: “L’accordo l’ha portato avanti la Lega. Dunque a noi la scelta. E siccome abbiamo più voti a Verona abbiamo scelto di escludere Venezia”.

La decisione che ha mandato il capoluogo veneto su tutte le furie. La città e la Fenice sono due simboli della cultura, ma la richiesta di essere inseriti nel Milleproroghe non è stata neanche presa in considerazione. L’epilogo? Il caos: Orsoni che se la prende col ministro Renato Brunetta, colpevole di “disinteressarsi della sua città”, Brunetta che replica al sindaco “incapace di tenere sotto controllo i conti della Fenice” e Tosi che sorpassa tutti e propone per Verona una tassa sul turismo che andrebbe a finanziare ulteriormente l’Arena inimicandosi albergatori e Confommercio.

Ma andiamo con ordine. Il primo grido d’allarme era stato proprio Tosi a lanciarlo. Perdere l’Arena e la stagione lirica avrebbe voluto dire segnare inesorabilmente il suo mandato. Così si era messo a girare per le stanze ministeriali della “Roma ladrona” in cerca di quei soldi negati al Fondo unico per lo Spettacolo. Prima un tentativo con Giulio Tremonti, andato inesorabilmente a vuoto, poi la richiesta d’intervento del “mediatore” Roberto Calderoli, infine la minaccia di guidare una crociata contro i vertici del Carroccio se non avessero costretto il governo e l’amico Giulio a mettere mano al portafogli. Quando Tosi l’ha messa sulle dure Roma ha ceduto. Ok a tre milioni una tantum, purché lo stesso trattamento venisse riservato alla Scala che, nel consiglio d’amministrazione, annovera personaggi più influenti e vicini a Berlusconi, tipo Bruno Ermolli, giusto per fare un nome.

La notizia ha fatto venire un attacco di bile a Orsoni, presidente della fondazione lirica della Fenice e sindaco di Venezia. “Quando serve, Venezia è il palcoscenico mondiale, tutti ne parlano riempiendosi la bocca – ha denunciato dalle colonne del Corriere della Sera – poi, al momento buono, la Fenice resta all’asciutto; mentre l’Arena, retta da Flavio Tosi, sindaco leghista, si prende i quattrini. La prossima volta, Bossi non venga in laguna a festeggiare la Padania, vada piuttosto a Verona. L’Arena è vero, è un’istituzione conosciuta nel mondo, soprattutto per l’impatto popolare e per la scenografia. Se, però, parliamo di qualità dell’opera lirica, si trova a mille miglia di distanza dalla Fenice. Che, tra l’altro, nulla ha da invidiare alla Scala di Milano”. Poi il bersaglio principale, il ministro Brunetta. “In campagna elettorale ha promesso mari e monti, poi non ha fatto niente per la sua città”.

Brunetta, da parte sua, ha risposto per le rime: “Avesse tenuto i conti in ordine non saremmo a questo punto. Poi il sindaco è male informato: i suoi colleghi di partito sapevano che, viste le condizioni in cui si trova la fondazione che presiede, non avrebbe avuto diritto a nessun finanziamento”.

Polemica finita? Il sindaco di Verona ha detto sì alla tassa di soggiorno, sulle orme di quanto fatto a Roma, con l’idea di girare i ricavi all’Arena. Ma ha trovato subito il niet del presidente degli albergatori di Confindustria della sua città, Gianni Zenatello. “Improponibile chiedere ai turisti di pagare prezzi maggiorati, a Verona si arriva per piacere, non è una tappa obbligata come Roma. Gli unici a rimetterci sarebbe gli albergatori”. Tosi però non si è scoraggiato e ha promesso di calibrare la cifra a seconda della struttura ricettiva: pochi centesimi per un bed & breakfast, 5 euro per gli hotel di lusso. In questo modo non sarebbe penalizzato nessuno, dice lui. Immediatamente smentito dalle associazioni di categoria che, conti alla mano, hanno spiegato al sindaco che la sua operazione metterebbe in ginocchio gli albergatori, alla fine del ciclo gli unici veri tartassati.

Per ora il capitolo si chiude. Verona e Milano in qualche modo pareggeranno i conti. La Fenice vedrà un tabellone ridotto e il serio rischio di chiudere per mancanza di soldi. Ma soprattutto perché governano Pdl e Lega e hanno trovato un modo, tutto loro, per far capire alle città del centrosinistra che conviene cambiare opinione.

http://www.ilfattoquotidiano.it

mercoledì 23 febbraio 2011

Tagli Fus, l'annuncio di Cagli "Se il milleproroghe passa, mi dimetto"


Il sovrintendente dell'Accademia di Santa Cecilia convoca la stampa per annunciare le dimissioni, se verranno confermati i pesanti tagli al Fus, e le dotazioni eccezionali solo per la Scala, l'Arena di Verona e la Fondazione Verdi

di ROSARIA AMATO


C'è ancora caos sul milleproroghe, dopo lo stop del presidente della Repubblica Napolitano, ma il sovrintendente dell'Accademia di Santa Cecilia Bruno Cagli non ha dubbi: "Se i tagli allo spettacolo passeranno così come sono nel decreto milleproroghe, rassegnerò le mie dimissioni da presidente sovrintendente dell'Accademia di Santa Cecilia. E spero che i sovrintendenti di altre Fondazioni facciano altrettanto". Cagli, nel corso di un incontro con la stampa, ha ribadito di "non volersi fare complice della dismissione culturale in corso".

I sovrintendenti delle 14 fondazioni lirico-sinfoniche italiane si aspettavano nel milleproroghe un cospicuo reintegro del Fus, il Fondo Unico per lo spettacolo, che è stato fortemente decurtato dai tagli al bilancio, passando dai 410 milioni dello scorso anno ad appena 258. Ma nel decreto alla fine non c'è stato alcun reintegro: sono stati stanziati 15 milioni in più, pochissimo. Soprattutto, però, ha ricordato oggi Cagli, sono state previste "partite straordinarie di 3 milioni di euro ciascuna", per la Scala, l'Arena di Verona e la Fondazione Verdi. Alle due fondazioni di Roma, Santa Cecilia e il Teatro dell'Opera, non è andato nulla.

Santa Cecilia ha perso pertanto "5 milioni di euro rispetto al 2009". "I criteri di assegnazione -ha precisato il sovrintendente- prevedono solo gli introiti da biglietteria. Molte delle nostre entrate non vengono dalla biglietteria, ma dai programmi di sala, dalle tournèe, dai contributi dei privati cittadini. Ma anche da situazioni analoghe a quella del 16 marzo, quando faremo tre concerti per l'Unità d'Italia dove certo non prevediamo la vendita di biglietti ma incassiamo per la nostra prestazione. Che significa questo? Significa volere favorire quelle Fondazioni che questi introiti non li hanno e che, paradossalmente, sono meno virtuose di noi".

E ha aggiunto: "Impugneremo il decreto Milleproroghe, se dovesse passare così. Abbiamo raccolto un parere giuridico secondo il quale alcuni dettati del testo sono in contraddizione con la legge Bondi e sono contestabili proprio sul piano giuridico".

"Noi non possiamo ridurre il numero di concerti -ha spiegato Cagli- perchè il nostro bilancio, per il 50%, si basa sui nostri introiti e se tagliamo i concerti, che quasi sempre fanno registrare il 'tutto esaurito', riduciamo drasticamente le entrate dal botteghino e dagli sponsor. Inoltre abbiamo raggiunto standard di qualità elevatissimi, riconosciuti a livello internazionale (la stampa inglese colloca l'orchestra di Santa Cecilia tra le dieci migliori al mondo, ndr), anche grazie al nostro direttore Antonio Pappano, che tutti ci invidiano e corteggiano e che ha un contratto con noi fino al 2013. Contratto che contiamo di rinnovare".

Eppure, se i tagli verranno confermati, la prospettiva è proprio questa: si dovrà ridurre drasticamente la produzione concertica, sottolinea Cagli, "e rinunciare agli standard di qualità raggiunti negli ultimi anni". Senza contare le attività collaterali: l'Accademia sarà costretta a "chiudere la Bibliomediateca, che è la prima biblioteca musicale di Roma con criteri di consultazione moderni cui la gente accede da tutto il mondo, e il Museo degli strumenti musicali. Poi dovremmo sciogliere la JuniOrchestra e il Coro di voci bianche, che coinvolgono quasi 600 bambini e adolescenti". Prospettive analoghe per il Teatro dell'Opera.

Cagli infine ha lanciato l'allarme lavoratori: "Sembra che a nessuno interessi che nel settore ci sono 5.000 lavoratori a rischio. Non ci sarà solo la Fiat in Italia! E anche a Santa Cecilia, se non ci saranno segnali di reintegro dei finanziamenti, gli stipendi sono a rischio. E dire che nel Milleproroghe ci sono provvedimenti che fanno incassare ben altro che i 160 milioni mancanti del Fus. Solo la sanatoria sulle affissioni dei manifesti ne porta ben 80".

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