domenica 5 giugno 2011

La Scala punta sul modello Fiat "Contratti separati ai lavoratori"

La proposta: utilizzare l'autonomia per abbandonare la negoziazione nazionale. I sindacati

sono però perplessi: "Non deve essere una tappa del cammino che porta alla privatizzazione"

di PAOLA ZONCA

Il consiglio dei ministri ha appena approvato il regolamento che avvia la riforma del settore lirico e concede l’autonomia gestionale alle fondazioni virtuose, ed ecco che il vicepresidente Bruno Ermolli lancia il sasso: «La Scala potrà avere un suo contratto di lavoro specifico». Il teatro milanese, sul modello della Fiat, avrà dunque l’opportunità di dotarsi di regole proprie, bypassando il contratto nazionale. Un tema caldo, che sta già dividendo i sindacati (contrarissima la Cgil) e che probabilmente sarà al centro della discussione nei prossimi mesi.

Facciamo un passo indietro. Il regolamento ha stabilito i requisiti che le fondazioni devono avere perché venga riconosciuta loro l’autonomia: la Scala, con le sue 260 alzate di sipario, il prestigio internazionale, i sei bilanci in pareggio consecutivi, può legittimamente aspirare a una condizione privilegiata che le permetterà, tra l’altro, la certezza dei finanziamenti su un periodo di tre anni. Ma non solo. L’autonomia offrirà al primo teatro lirico italiano anche l’opportunità di dotarsi di un contratto di lavoro ad hoc, che sia sostitutivo del nazionale e dell’integrativo. «Non c’è dubbio che i principali sindacati devono lavorare nel migliore interesse della fondazione — avverte Ermolli — Avendo questa opportunità non devono perderla, altrimenti si risale al contratto nazionale». Che non viene rinnovato dal 2006, senza che sia stato fatto alcun passo avanti.

Questione delicata, che vede già le prime prese di posizione. «Siamo allineati con l’orientamento del sindacato nazionale — dice Giancarlo Albori (Cgil) — Per noi è necessario mantenere il contratto nazionale di lavoro unico. È quanto abbiamo ribadito durante l’audizione in parlamento del novembre scorso». Il pericolo, per la Cgil, è che dietro questa mossa si nasconda l’intenzione di privatizzare la Scala, il cui budget è costituito per il 66 per cento da ricavi propri: «La Scala è un bene comune, e tale deve restare». Certo però non sfugge che con lo statuto speciale per il teatro milanese potrebbero profilarsi vantaggi economici, anche per i lavoratori. Per Domenico Dentoni, della Uil, «il nostro non è un no né un sì di principio, è necessario discutere quello che ci sarà sul tavolo».

La Cisl preferirebbe che si firmasse il contratto nazionale ma, visto che le probabilità che ciò accada sono remote, va trovato il modello migliore per garantire salario, occupazione, normativa adeguata per i dipendenti. Gli autonomi della Fials tengono le bocce ferme: «Bisogna leggere attentamente il regolamento» dice Sandro Malatesta. Nessuno si spinge a ipotizzare che il cambiamento potrebbe portare a una ridefinizione generale dei contratti di lavoro. Per la Scala i vantaggi sarebbero notevoli: una contrattazione unica che, forse, eviterebbe lo stillicidio di conflitti e scioperi.

http://milano.repubblica.it

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