Più di 150 milioni in 7 anni ma il teatro è in crisi: i soldi non bastano a pagare gli stipendi
LA MUSICA NEI GUAI
martedì 14 aprile 2015
giovedì 20 novembre 2014
Amsterdam - Concertgebouw: I complessi della Radio Olandese suonano Mahler
Resurrezione. Il concetto di resurrezione implica quello di morte. E’ alla morte dei complessi della Radio Olandese (la Radio Filharmonisch Orkest, la Radio Kamer Filharmonie, la Metropole Orchestra e il Groot Omroepkoor) assieme a tutto il Muziekcentrum van de Omroep (Il Centro di produzione e diffusione musicale della Radio) se non rientrerà il progetto posto in essere dalla nuova coalizione di governo che ne prevede la chiusura e lo smantellamento completo nel corso della prossima legislatura. Uno progetto di vandalismo culturale, basato unicamente su di uno scellerato patto politico della coalizione di centro-destra adesso al governo che vede nel Muziekcentrum van de Omroepun’icona e baluardo dell’intellighenzia di sinistra, quindi da abbattere celandosi dietro il paravento del risparmio (mentre il governo si prepara a varare stanziamenti per salvare le società calcistiche, spendendo molto di più di quello che è il costo attuale del MCO).
La politica olandese non è purtroppo nuova a tali sciagurate battaglie giocate sulla pelle delle istituzioni culturali del paese: negli anni ottanta, in piena crisi economica, il furore riformista delle sinistre si abbatté sull’Orchestra del Concertgebouw (indicata come costoso giocattolo in forza all’intellighenzia di destra), col progetto di ridurne sostanzialmente i fondi, tagliare l’organico e, in pratica, decretarne la morte artistica.
Se tale esiziale progetto venisse approvato non solo resterebbero senza lavoro quasi cinquecento persone ma porterebbe alla chiusura di complessi artistici di livello internazionale impegnati non solo in una programmazione di primo ordine (concerti sinfonici e opera) che ha pochi paragoni in Europa ma anche nella diffusione della cultura musicale fra i giovani e i giovanissimi tramite i moltissimi progetti didattici, per non parlare della stupenda biblioteca musicale della Radio.
Inutile sottolineare come questo concerto, anzi ogni concerto, dei complessi della Radio Olandesi, assuma un significato particolare. Sul podio della Radio Filharmonisch Orkest e del Groot Omroepkoor, in un Concertgebouw colmo all’inverosimile, Johnatan Nott ha diretto una trascinante esecuzione della Seconda sinfonia di Mahler “Resurrezione” che si è caricata di una valenza emotiva affatto particolare. Classe 1962, già direttore a Lucerna e Bamberga e dell’Ensemble InterContemporain, Johnatan Nott ha impostato una lettura ricca di slancio e di notevole unità e coerenza, leggendo la sinfonia come un unico, grandissimo, arco narrativo. La scelta di tenere cortissime le corone che interpuntano il tema iniziale di violoncelli e bassi conferisce particolare slancio all’intero movimento, cosicché la Marcia funebre diventa il centro propulsivo di tutta la Sinfonia. Nott chiede ed ottiene moltissimo dai complessi della Radio in grande spolvero: più di una volta abbiamo sottolineato il grande magistero tecnico dell’orchestra e del coro (una delle migliori compagini a livello europeo accanto alle consorelle, bavaresi, berlinesi e svedesi) e non staremo quindi a ripeterci.
Elizabeth Bishop ha dato voce ad un commovente Urlicht al quale ha fatto da contraltare il luminoso O Glaube di Julia Kleiter, giusto coronamento di una esecuzione che se è forse pletorico definire perfetta non esito ad annoverare fra le più intense e riuscite tra quelle a cui mi è stato dato di assistere negli ultimi mesi.
La politica olandese non è purtroppo nuova a tali sciagurate battaglie giocate sulla pelle delle istituzioni culturali del paese: negli anni ottanta, in piena crisi economica, il furore riformista delle sinistre si abbatté sull’Orchestra del Concertgebouw (indicata come costoso giocattolo in forza all’intellighenzia di destra), col progetto di ridurne sostanzialmente i fondi, tagliare l’organico e, in pratica, decretarne la morte artistica.
Se tale esiziale progetto venisse approvato non solo resterebbero senza lavoro quasi cinquecento persone ma porterebbe alla chiusura di complessi artistici di livello internazionale impegnati non solo in una programmazione di primo ordine (concerti sinfonici e opera) che ha pochi paragoni in Europa ma anche nella diffusione della cultura musicale fra i giovani e i giovanissimi tramite i moltissimi progetti didattici, per non parlare della stupenda biblioteca musicale della Radio.
Inutile sottolineare come questo concerto, anzi ogni concerto, dei complessi della Radio Olandesi, assuma un significato particolare. Sul podio della Radio Filharmonisch Orkest e del Groot Omroepkoor, in un Concertgebouw colmo all’inverosimile, Johnatan Nott ha diretto una trascinante esecuzione della Seconda sinfonia di Mahler “Resurrezione” che si è caricata di una valenza emotiva affatto particolare. Classe 1962, già direttore a Lucerna e Bamberga e dell’Ensemble InterContemporain, Johnatan Nott ha impostato una lettura ricca di slancio e di notevole unità e coerenza, leggendo la sinfonia come un unico, grandissimo, arco narrativo. La scelta di tenere cortissime le corone che interpuntano il tema iniziale di violoncelli e bassi conferisce particolare slancio all’intero movimento, cosicché la Marcia funebre diventa il centro propulsivo di tutta la Sinfonia. Nott chiede ed ottiene moltissimo dai complessi della Radio in grande spolvero: più di una volta abbiamo sottolineato il grande magistero tecnico dell’orchestra e del coro (una delle migliori compagini a livello europeo accanto alle consorelle, bavaresi, berlinesi e svedesi) e non staremo quindi a ripeterci.
Elizabeth Bishop ha dato voce ad un commovente Urlicht al quale ha fatto da contraltare il luminoso O Glaube di Julia Kleiter, giusto coronamento di una esecuzione che se è forse pletorico definire perfetta non esito ad annoverare fra le più intense e riuscite tra quelle a cui mi è stato dato di assistere negli ultimi mesi.
Edoardo Saccenti
http://www.operaclick.com/recensioni/teatrale/amsterdam-concertgebouw-i-complessi-della-radio-olandese-suonano-mahler
martedì 18 novembre 2014
Opera di Roma, firmato accordo per evitare il licenziamento di orchestra e coro
E' stato firmato nella notte l'accordo tra Teatro dell'Opera di Roma e sindacati sul risanamento e il rilancio dell'Ente e che eviterà il licenziamento dei 180 membri di orchestra e coro. L'intesa, sottoscritta da tutti e 7 i sindacati e che il 24 andrà all'esame del Cda, prevede risparmi per 3 milioni di euro e l'impegno a non scioperare sui temi dell'accordo.
Inoltre una parte degli stipendi accessori di tutti i lavoratori del Teatro dell'Opera, musicisti e tecnici, sarà congelata negli anni 2015-2016. Se si dovesse raggiungere il pareggio di bilancio, gli stipendi verrebbero recuperati. "Sono contento perché siamo riusciti a salvare 180 posti di lavoro - ha commentato Paolo Terrinoni della Cisl - ma c'è il rammarico di aver firmato un accordo quando a luglio era stato firmato un piano di risanamento che avrebbe consentito di non togliere nemmeno un euro ai lavoratori".
Il faccia a faccia tra le sette sigle sindacali e il direttore delle Risorse umane, Stefano Bottaro, iniziato ieri pomeriggio è andato avanti a oltranza, con una piccola pausa solo tra le 20 e 21. Poi è stata raggiunta la firma.
Per il sindaco Marino, "è un successo per tutta la città. L'Opera può tornare al lavoro con serietà e serenità". "La posizione di fermezza e l'aver messo sul tavolo anche la scelta più difficile, quella dell'esternalizzazione, evidentemente ha costretto tutti a riflettere sulle proprie posizioni" ha poi aggiunto il primo cittadino. "Spero che questo possa convincere anche il Maestro Muti, che resta in ogni caso direttore onorario a vita, col tempo, a rivedere le sue decisioni".
"E' un traguardo raggiunto da tutto il Teatro dell'Opera. E' il segno di una grande assunzione di responsabilità da parte dei lavoratori e di tutte le sigle sindacali" ha commentato, in una nota, il sovrintendente Carlo Fuortes.
L'accordo, si legge poi nella nota, ruota intorno a tre assi fondamentali. Economico: le nuove misure portano un risparmio di 3 milioni di euro. L'accordo prevede che il premio di produzione, del valore di un milione e 300 mila euro, sia legato al raggiungimento dell'equilibrio di bilancio per gli anni a partire del 2016. Infatti, il premio non è inserito nel budget del 2015. Gli straordinari verranno regolati in base a un monte ore (di compensazione oraria). Tale organizzazione porterà a un risparmio di 450 mila euro. L'indennità spettacoli all'aperto sarà ridotta del 25 per cento; l'indennità sinfonica per Orchestra e Coro verrà cancellata con un risparmio di circa 250mila euro.
L'accordo sulla produttività: grazie a un aumento della produttività di tutto il personale, tecnico e artistico, sarà possibile un risparmio di 800 mila euro (cioè sull'utilizzo del personale a tempo determinato). I professori d'orchestra potranno essere convocati in base alle esigenze della Fondazione, cioè in base alla crescita della produttività. L'orchestra potrà essere convocata per prove o spettacoli il martedì (sino ad oggi impossibile). E ancora i professori d'orchestra in base alle esigenze della produzione potranno, come da contratto, essere chiamati a ricoprire temporaneamente ruoli diversi dal proprio (cioè sostituzioni tra primi e secondi strumenti). E' ridotta al 20 per cento alla prima e quindi al 50 per cento la retribuzione aggiuntiva per attività concertistica e da camera per complessi numericamente ridotti. E' ammessa la possibilità che il Corpo di Ballo si esibisca sulla base musicale di un nastro registrato nel caso in cui l'orchestra sia impegnata in altra produzione o indisponibile. Il Coro aumenterà la produttività attraverso una maggiore flessibilità delle regole esistenti.
Infine, la regolamentazione sindacale: le organizzazioni s'impegnano a non ricorrere ad alcuna azione di conflittualità sui punti stabiliti dall'accordo, e ancora le parti si impegnano a scrivere un nuovo protocollo di relazioni industriali che in particolare punterà sulle modalità di raffreddamento dei conflitti. Le organizzazioni sindacali si impegnano infine a costituire entro febbraio 2015 le Rsu attraverso elezione diretta dei rappresentanti da parte dei lavoratori della Fondazione.
L'annuncio del Cda della Fondazione del Costanzi che aveva deciso per i licenziamenti collettivi risale al 2 ottobre scorso. Una scelta dettata dalla crisi profonda del teatro, tra conti in rosso e continui sciopero, che aveva toccato il fondo con l'addio del Maestro Riccardo Muti. Da allora orchestrali e coristi si sono mobilitati con sit-in, assemblee sindacali e manifestazioni in piazza. Tanti i messaggi di solidarietà e di opposizione al disegno di esternalizzare i lavoratori arrivati in questi mesi, da quello dei
Berliner Philarmonik al maestro Ennio Morricone
http://roma.repubblica.it/cronaca/2014/11/18/news/opera_di_roma_firmato_accordo_per_evitare_i_licenziamenti_collettivi-100819684/
Inoltre una parte degli stipendi accessori di tutti i lavoratori del Teatro dell'Opera, musicisti e tecnici, sarà congelata negli anni 2015-2016. Se si dovesse raggiungere il pareggio di bilancio, gli stipendi verrebbero recuperati. "Sono contento perché siamo riusciti a salvare 180 posti di lavoro - ha commentato Paolo Terrinoni della Cisl - ma c'è il rammarico di aver firmato un accordo quando a luglio era stato firmato un piano di risanamento che avrebbe consentito di non togliere nemmeno un euro ai lavoratori".
Il faccia a faccia tra le sette sigle sindacali e il direttore delle Risorse umane, Stefano Bottaro, iniziato ieri pomeriggio è andato avanti a oltranza, con una piccola pausa solo tra le 20 e 21. Poi è stata raggiunta la firma.
Per il sindaco Marino, "è un successo per tutta la città. L'Opera può tornare al lavoro con serietà e serenità". "La posizione di fermezza e l'aver messo sul tavolo anche la scelta più difficile, quella dell'esternalizzazione, evidentemente ha costretto tutti a riflettere sulle proprie posizioni" ha poi aggiunto il primo cittadino. "Spero che questo possa convincere anche il Maestro Muti, che resta in ogni caso direttore onorario a vita, col tempo, a rivedere le sue decisioni".
"E' un traguardo raggiunto da tutto il Teatro dell'Opera. E' il segno di una grande assunzione di responsabilità da parte dei lavoratori e di tutte le sigle sindacali" ha commentato, in una nota, il sovrintendente Carlo Fuortes.
L'accordo, si legge poi nella nota, ruota intorno a tre assi fondamentali. Economico: le nuove misure portano un risparmio di 3 milioni di euro. L'accordo prevede che il premio di produzione, del valore di un milione e 300 mila euro, sia legato al raggiungimento dell'equilibrio di bilancio per gli anni a partire del 2016. Infatti, il premio non è inserito nel budget del 2015. Gli straordinari verranno regolati in base a un monte ore (di compensazione oraria). Tale organizzazione porterà a un risparmio di 450 mila euro. L'indennità spettacoli all'aperto sarà ridotta del 25 per cento; l'indennità sinfonica per Orchestra e Coro verrà cancellata con un risparmio di circa 250mila euro.
L'accordo sulla produttività: grazie a un aumento della produttività di tutto il personale, tecnico e artistico, sarà possibile un risparmio di 800 mila euro (cioè sull'utilizzo del personale a tempo determinato). I professori d'orchestra potranno essere convocati in base alle esigenze della Fondazione, cioè in base alla crescita della produttività. L'orchestra potrà essere convocata per prove o spettacoli il martedì (sino ad oggi impossibile). E ancora i professori d'orchestra in base alle esigenze della produzione potranno, come da contratto, essere chiamati a ricoprire temporaneamente ruoli diversi dal proprio (cioè sostituzioni tra primi e secondi strumenti). E' ridotta al 20 per cento alla prima e quindi al 50 per cento la retribuzione aggiuntiva per attività concertistica e da camera per complessi numericamente ridotti. E' ammessa la possibilità che il Corpo di Ballo si esibisca sulla base musicale di un nastro registrato nel caso in cui l'orchestra sia impegnata in altra produzione o indisponibile. Il Coro aumenterà la produttività attraverso una maggiore flessibilità delle regole esistenti.
Infine, la regolamentazione sindacale: le organizzazioni s'impegnano a non ricorrere ad alcuna azione di conflittualità sui punti stabiliti dall'accordo, e ancora le parti si impegnano a scrivere un nuovo protocollo di relazioni industriali che in particolare punterà sulle modalità di raffreddamento dei conflitti. Le organizzazioni sindacali si impegnano infine a costituire entro febbraio 2015 le Rsu attraverso elezione diretta dei rappresentanti da parte dei lavoratori della Fondazione.
L'annuncio del Cda della Fondazione del Costanzi che aveva deciso per i licenziamenti collettivi risale al 2 ottobre scorso. Una scelta dettata dalla crisi profonda del teatro, tra conti in rosso e continui sciopero, che aveva toccato il fondo con l'addio del Maestro Riccardo Muti. Da allora orchestrali e coristi si sono mobilitati con sit-in, assemblee sindacali e manifestazioni in piazza. Tanti i messaggi di solidarietà e di opposizione al disegno di esternalizzare i lavoratori arrivati in questi mesi, da quello dei
Berliner Philarmonik al maestro Ennio Morricone
http://roma.repubblica.it/cronaca/2014/11/18/news/opera_di_roma_firmato_accordo_per_evitare_i_licenziamenti_collettivi-100819684/
mercoledì 22 ottobre 2014
Teatro dell'Opera: la storia torbida dei licenziamenti (altro che indennità fantasiose)
Sulla vicenda del licenziamento di quasi duecento artisti del Teatro dell’Opera di Roma aleggiano più fantasmi che certezze. Ed enormi ragionevoli dubbi. Non è certo neanche il fatto stesso che riguarda il loro licenziamento, nel senso che per come è stato annunciato ci sono seri indizi di incostituzionalità che prima o poi dovranno pur essere affrontati. Nel frattempo si brancola nel buio, complice anche una ormai ampia casistica di articoli di stampa sciatta se non proprio scorretta e con il sospetto di una vera e propria azione di convincimento, per quanto attiene all’opinione pubblica, per veicolare la necessità di questi licenziamenti.
L’ultimo aggiornamento riguarda una interrogazione parlamentare di Sel nella quale, giustamente, la senatrice Alessia Petraglia chiede a Dario Franceschini, Ministro di beni e attività culturali, di «revocare il licenziamento dell’orchestra e del coro del Teatro dell’Opera». Secondo la senatrice, «l’articolo 18 non è stato ancora abolito, eppure ci troviamo di fronte all’ennesimo attacco ai lavoratori in cui le responsabilità di altri, in questo caso delle cattive gestioni economiche delle diverse amministrazioni che si sono succedute alla guida della Fondazione, ricadono su 182 orchestrali».
Il punto è esattamente questo: che il buco in bilancio ci sia non è in discussione, in discussione sono semmai il motivo e le responsabilità di tale buco (oltre alla vera entità, ancora sconosciuta), ma ancora prima di accertarne natura e motivazione, si è pensato di usare la mannaia sulla parte produttiva della Fondazione, cioè su orchestra e coro, che sono il cuore del soggetto.
Gli indizi che si tratti di una operazione sconcertante ci sono tutti, e il fatto che tanti giornali allineati si siano dedicati alla causa con articoli volutamente diffamatori nei confronti degli artisti ne è una prima conferma.
I primi temi sui quali è doveroso fare chiarezza sono almeno tre, e poi c’è bisogno di interrogarsi su un macro tema di fondo attinente a tutte le realtà come il Teatro dell’Opera.
Intanto si deve andare a vedere sul serio a quanto ammonta il buco in bilancio. In secondo luogo cercare di capire quali sono le responsabilità, cioè da dove deriva sul serio questo buco. E quindi fare un po’ di chiarezza sulle vergognose imprecisioni che sono state scritte per screditare quelli che al momento sono stati ritenuti i responsabili di tutto, cioè gli artisti. Parliamo, in quest’ultimo caso, delle esilaranti commedie che sono state scritte e vendute all’opinione pubblica in merito ai sedicenti privilegi dei professori d’orchestra e degli artisti del coro (si chiamano così, i professionisti che lavorano nelle Fondazioni musicali, non “orchestrali”).
Partiamo da quest’ultimo punto, perché smontare una a una le idiozie che sono state scritte è un gioco da ragazzi. Ed è utile per evitare di credere supinamente alla vulgata che si sta cercando di far percepire come reale.
Dunque i privilegi. Quelli che hanno destato più scalpore, e hanno inviperito le penne di tanti editorialisti innescando facili battute nell’opinione pubblica sono i seguenti: indennità vestiario, indennità strumento, indennità umidità.
Queste soprattutto hanno solleticato maggiormente le fantasie, ed è dunque operazione di norma igienica spiegarle sul serio.
L’indennità vestiario riguarda una modesta voce, in busta paga agli artisti, che è presente in tutte le orchestre del mondo. Fatto salvo nei casi in cui il vestiario viene consegnato a orchestra e coro dall’istituzione (alla Scala di Milano, ad esempio, il vestiario è una spesa in bilancio). Per tutte le altre orchestre del mondo che hanno l’obbligo - da contratto: l’obbligo - di vestire in un certo modo, sono i musicisti che devono pensare da sé a comperare l’abbigliamento. Per l’orchestra del Teatro dell’Opera si tratta di frac, gemelli, scarpe da sera e tutto ciò che concorre al “costume” di scena. Ora, per qualsiasi lavoro del mondo che comporta l’obbligo di indossare una divisa, essa viene consegnata dall’azienda. Dottori e infermieri in ospedale indossano una divisa. Operatori ecologici anche. E anche i metalmeccanici, o gli agenti di Polizia. Questa divisa viene loro consegnata. Per gli artisti del Teatro dell’Opera invece funziona con l’indennità. Ecco tutto.
L’indennità strumento, poi, è ancora più facile da spiegare. Qualsiasi lavoratore del mondo che lavora presso una azienda non è che si porta lo strumento del suo lavoro da casa, o no? Non è che chi lavora in fabbrica si porta i propri macchinari personali in azienda, oppure il medico che fa le radiografie il proprio macchinario RX, o ancora, più semplicemente, un impiegato che lavora con il computer si porta in ufficio il suo pc personale. E allora, un violino professionale costa dai 20 ai 300 mila euro. E ogni professore d’orchestra ha il suo strumento, che porta avanti e indietro da casa al lavoro. E che va mantenuto: corde, crini per l’arco, spalliere, ma anche le ance per i fiati, le scollature, le registrazioni e la sostituzione di parti soggette a usura.
Ecco la famosa indennità strumento in busta paga, che consta peraltro di pochi altri spiccioli ogni mese.
E veniamo all’indennità spettacoli all’aperto. Un violino del 700 che “lavora” una intera stagione all’aperto - ad esempio, sì, a Caracalla - necessita, alla fine delle rappresentazioni, di essere portato dal liutaio, perché le condizioni climatiche nelle quali ha operato gli sono dannose. Costo del tagliando per rimetterlo in sesto: circa 300 euro. Appare così strano, adesso, che in busta paga vi sia qualche euro ogni mese per concorrere alle spese di questa operazione che la Fondazione non copre in sé ma delega a ogni singolo artista di effettuare?
Inutile insistere, speriamo, eppure c’è chi ha detto che se il tutto è vero, è però anche vero che tali indennità siano in alcuni casi previste anche per gli amministrativi del Teatro dell’Opera. Appunto: è tema di approfondimento sul settore dirigenziale, questo, al quale, questa volta sì, si dovrebbe chiedere conto. Senonché, come abbiamo visto nei giorni scorsi, si copre di ignominia (e si licenzia) solo la parte che di queste indennità ha tutto il diritto. Non pare strano?
Ma infine i salari degli artisti. Buste paga mostruose che, comprese tutte le indennità, arrivano difficilmente a 2000 euro. Troppo alte? Ognuno può rispondere da sé: professionisti che per arrivare a fare musica al Teatro dell’Opera hanno studiato per venti o trenta anni - con studi costosissimi, peraltro - che hanno vinto concorsi internazionali per poter essere assunti e che per mantenersi ai livelli di eccellenza che un tale lavoro comporta devono continuare a studiare e a migliorarsi incessantemente. Sono troppi 2000 euro al mese per un lavoro del genere?
Si dice: lavorano non più di qualche ora al giorno. Falso: è chiaro che una rappresentazione non dura più di qualche ora, ma dovrebbe essere altresì chiaro che per arrivare a esibirsi in tale circostanza si debba studiare molte più ore, ogni giorno. Altrimenti sarebbe come pagare un chirurgo, in ospedale, solo per le ore che effettivamente passa in sala operatoria. Oppure un giornalista che si occupa di una inchiesta solo per le ore che meccanicamente richiede il digitare un articolo di due cartelle.
Ecco: un musicista al Teatro dell’Opera guadagna la cifra che abbiamo detto, e che comprende tutte le voci sulle quali si sta discettando in questi giorni. Per come sono chiamate le indennità si può pensare al ridicolo, e probabilmente la formula contrattuale di questo tipo di lavoratore è farraginosa e bizantina, come in tante altre circostanze in Italia, ma di questo stiamo parlando: salari attorno ai 2000 euro al mese. Per degli artisti d’eccellenza.
Quando ognuno di noi acquista un biglietto d’aereo si accorge che al prezzo finale concorrono varie voci altrettanto curiose, come il supplemento carburante, le tasse aeroportuali e magari i diritti di agenzia, ma alla fine ciò che conta è il prezzo finale, o no?
O anche quando si paga una qualunque bolletta: importo, tasse, spese di invio, surplus una tantum o “quota comodato d’uso apparecchiature”. Ciò che conta è sempre il totale. E il totale della busta paga di questi lavoratori è quello, indipendentemente dalle voci che lo compongono.
La musica che viene fuori da questa vicenda dovrebbe a questo punto essere molto più nitida, almeno per quanto attiene ai salari di chi è stato additato per il dissesto del Teatro dell’Opera e che è in procinto di pagare, con il licenziamento, per colpe che non sono sue.
Le responsabilità del dissesto della Fondazione sono dunque ovviamente altrove. E cercheremo nei prossimi giorni di andarle a snidare.
Valerio Lo Monaco
giovedì 9 ottobre 2014
L’Opera tira fuori il vero buco di bilancio Tredici milioni di deficit nel 2013 contro il pareggio del 2012. I sindacati non ci stanno.
Tredici milioni di deficit nel 2013 contro gli 87mila euro di attivo nel 2012. Sta tutta qui la chiave del dissesto finanziario del Teatro dell’Opera di Roma. Cos’è successo in quei dodici mesi? Confrontando le cifre del bilancio 2013 con il 2012 balza agli occhi una grande differenza nei costi di produzione. Nel 2012 i costi ammontavano a 57milioni di euro, saliti a oltre 63 milioni nel 2013. Per questo, tra entrate e uscite, la produzione era in rosso per oltre 11 milioni euro.
Intanto i lavoratori di coro e orchestra del Teatro dell’Opera di Roma hanno appena ricevuto la comunicazione dell’apertura della procedura della legge 223, quella per i licenziamenti. Guardano al tavolo di confronto che «chiederemo, come prevede la legge». E lo faranno insieme, visto che l’annuncio del sovrintendente Carlo Fuortes e del sindaco di Roma, Ignazio Marino, di volerli esternalizzare (con un licenziamento collettivo) ha avuto l’effetto di ricompattare il fronte sindacale.
«Siano ritirate immediatamente le lettere di licenziamento inviate ai componenti dell’orchestra del Teatro dell’Opera senza coinvolgere minimamente le organizzazioni sindacali e senza alcun rispetto dell’accordo siglato lo scorso 25 luglio né dell’esito del referendum. Si attivino invece tutte le tipologie di contratto finalizzate a salvare lavoro». Così i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil di Roma e del Lazio, Claudio Di Berardino, Mario Bertone e Pierpaolo Bombardieri, in merito alle vicende in corso al Teatro dell’Opera. «Il sindaco di Roma, scegliendo la strada del licenziamento collettivo che dequalifica e precarizza il lavoro - precisano - è riuscito ad arrivare allo scontro con il sindacato e con chi esso rappresenta. Se ne assuma la responsabilità. E si assuma la responsabilità della progressiva azione di demolizione della cultura e dello smantellamento dei luoghi in cui si essa si produce, fiorisce, vive. Pensiamo alla vicenda del Teatro Eliseo o allo sgombero del Cinema America».
All’attacco anche Alemanno. «Si potevano seguire altre strade per pretendere dai sindacati e dai lavoratori un sacrificio per salvare il Teatro - conclude - Non lo si è fatto mettendo i lavoratori davanti a un fatto compiuto e, quindi, si è attuato un comportamento antisindacale perché si presumeva che sindacati e lavoratori avrebbero detto no a un piano di ristrutturazione che permetteva di risparmiare 3,4 milioni euro».
Opera di Roma: licenziamenti «illegittimi e illegali»
Licenziamenti «illegittimi e illegali». Il coordinamento nazionale unitario dei lavoratori delle Fondazioni lirico-sinfoniche che aderiscono a Cgil, Cisl, Uil e Fials rigetta il licenziamento collettivo dei 182 orchestrali e coristi del Teatro dell'Opera comunicato dal cda della Fondazione lo scorso giovedì. La lettera di procedura è arrivata ieri a tutte le sigle sindacali che rappresentano i lavoratori del teatro, che ora hanno sette giorni di tempo per rispondere chiedendo la convocazione, come prevede la legge 223 del 1991 sul licenziamento collettivo,
martedì 7 ottobre 2014
Teatri e Theater, qual è la verità?
di FEDERICO CARRARO
L'incresciosa vicenda dell'Orchestra e del Coro dell'Opera di Roma hanno riportato l'attenzione pubblica sulla situazione catastrofica della vita musicale italiana. Questo provvedimento è qualcosa di tristemente nuovo nel panorama italiano e, come al solito, tutti hanno sempre qualcosa da dire.
Dico subito che NON entrerò nel merito della vicenda specifica, dicendo secondo me chi ha ragione e chi ha colpa. Una mia idea ce l'ho ben chiara ma la tengo per me. Invece, dato che sovente mi capita di leggere articoli di giornale (soprattutto di destra, ma neanche la sinistra stavolta si è risparmiata, e persino dei giornali che reputavo semi-seri come La Stampa ci sono cascati) dove si mette nel calderone tanta di quella roba da distorcere completamente la realtà.
Vediamo un po' cosa si dice in giro:
http://www.retenews24.it/rtn24/cronaca/orchestrali-san-carlo-super-privilegi/
http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/opera-roma-licenziamento-coro-orchestra-ff7871d3-dba2-4bcc-8c73-66150117af6f.html
etc. etc.
insomma, sempre le solite storie. Indennità, privilegi, casta...guardate i Berliner, questi sobri tedeschi, che fanno le cooperative, sono figli del libero mercato e della sponsorizzazione privata, senza sindacati rompipalle e contratti nazionali....
mmm...sicuri?
Cominciamo sparando un po' sulla croce rossa, ovvero il primo dei due articoli (riprendendo parte del secondo). La testata non è delle più affidabili, probabilmente quell'articolo l'ha scritto una scimmia, ma tant'è, e quindi chiariamo una cosa: Berliner Philharmoniker, London Symphony, altri esempi buttati a casaccio....non sono orchestre d'opera!!!!
Uno dice: che c'entra? C'entra. E' un paragone imbecille. Innanzitutto, i Berliner ricevono eccome soldi pubblici! Per la precisione, 15 milioni di euro all'anno (13 dal Land Berlino e 3 dal monopolio della lotteria di stato. Sì, avete capito bene.). Ricordiamoci, comunque, che si sta parlando di un'orchestra sinfonica, che per ovvi motivi ha costi nettamente inferiori a quelli di una fondazione lirica (forse non è superfluo dire che una fondazione sinfonica deve pagare l'orchestra, il direttore e i solisti ospiti. Un teatro deve pagare l'orchestra, il direttore, i solisti ospiti, il regista, le comparse, il coro, i macchinisti, gli scenografi, la falegnameria, la sartoria etc.).
Grazie al cazzo, anch'io la so fare la cooperativa così....
Comunque vogliamo tranquillizzare tutti: a Berlino, visto che l'abbiamo tirato in ballo, ci sono tre teatri d'opera, in un'unica grossa fondazione chiamata Stiftung Oper in Berlin, formata da Staatsoper unter den Linden, Deutsche Oper e Komische Oper, che ricevono la bellezza di 114 milioni di Euro all'anno, praticamente metà dei fondi destinati ai teatri di tutta Italia. In un'unica fondazione. Nessuna delle loro orchestre è esternalizzata, come quei teatri che si continuano a citare che nessuno conosce (a parte Madrid).
Sfatiamo un altro mito: gli stipendi da nababbi e i privilegi. Nella sobria Germania non si spreca con simili sciocchezze.
uhm..
Dunque, cominciamo dalla base. In Italia esistono 13+1 fondazioni lirico sinfoniche (l'Accademia Nazionale di S. Cecilia è stata inclusa a posteriori), conta più o meno 6000 dipendenti tra musicisti, elettricisti, macchinisti, sarti etc. Insomma, una miniera d'oro del lavoro, se mi posso permettere. Queste fondazioni vengono finanziate in vari modi: attraverso sponsor privati (praticamente nulla), attraverso fondi regionali (e qui ci sono le regioni più generose e quelle che promettono i soldi, il Teatro fa una grande produzione con cachet altissimi e poi la regione ritira tutto, lasciando un buco enorme) e attraverso il Fondo Unico dello Spettacolo, che eccezionalmente nel 2014 ammontava a 260 milioni di euro, a cui si sono aggiunti 110 milioni dalle regioni (ma è stata molto più bassa per molti anni).
I contratti aziendali sono regolati dal CCNL "per i dipendenti delle fondazioni lirico sinfoniche", contratto redatto il 24 Marzo 2014 (anche se certi punti del contratto sono fermi da più di 10 anni e gli stipendi sono ancorda redatti in lire!!!).
In Germania invece cosa c'è? In Germania ci sono quelle che vengono chiamate "Kultur- und Kammerorchester", che sono 133 orchestre di cui 114 orchestre sinfoniche e d'opera, 7 orchestre da camera e 12 orchestre della Radio. Il sistema di finanziamento è estremamente complesso ed inoltre varia anche da Ovest a Est, in soldoni basti sapere che tutte queste sono "offentlich finanziert", ovvero ricevono soldi o dal comune della città che li ospita, o dal Land, o (più raramente, di solito quelle delle Radio) direttamente dal governo tedesco. I fondi stanziati dai vari enti pubblici raggiunge la cifra di 1.6 MILIARDI di €. Molte di queste orchestre sono governate dal TVK (Tarifvertrag der Kultur- und Kammerorchestern), che altro non è che il CCNL tedesco per le Kultur- und Kammerorchester. Questo contratto è stato redatto il 31 Ottobre 2009 e a quello che so è ancora in vigore. Contratto estremamente più complicato di quello italiano (basti pensare che la parte del CCNL dedicata ai professori d'orchestra è lunga 14 pagine, contro le 45 di quello tedesco, che è pure scritto più in piccolo...ma si sa che ai tedeschi piacciono le parole lunghe :D ), raggruppa le orchestre in 4 gruppi (A, B, C, D) che hanno diversi diritti riguardo ai posti in organico stabile e la retribuzione (anche questo fa l'occhiolino alla meritocrazia, cosa che nel CCNL manca del tutto visto che si mette tutti nella stessa broda).
Bene, adesso che la struttura è più o meno chiara, confrontiamo gli enormi privilegi di casta italiani contro le vite spartane dei tedeschi:
1) Stipendi. Vediamo cosa dice il CCNL:
dall'appendice "Tabelle Paga", vediamo come il salario minimo di un professore d'orchestra può variare dai 1556 € (sempre lordi, si intende) di un 5° livello (musicisti di fila neoassunti) ai 2289 del primo violino di spalla. Ovviamente poi la verità nei teatri è molto diversa, però intanto il contratto nazionale dice questo.
vediamo ora il TVK:
che ci crediate o meno, lo stipendio minimo più basso possibile in Germania (ovvero musicista di fila di un'orchestra di gruppo D) è quasi al livello del salario minimo di un violino di spalla italiano (si veda la sezione "Verguetungsordnungen" in fondo al TVK). Infatti si va dai 2212€, stipendio minimo più basso del gruppo di serie D, ai 3963€ dello stipendio minimo più alto del gruppo di serie A (dell'Ovest), ai quali va poi in caso aggiunta una Taetigkeitszulage (indennità di ruolo) che va dai 120€ mensili per i vorspieler (ovvero "quello che nella fila mostra le cose", ruolo che in Italia nemmeno esiste) del gruppo D ai 655€ dei Konzertmeister (spalle) del gruppo A. In sintesi, una spalla di un'orchestra di serie A tedesca si porta a casa MINIMO 4500€ lordi al mese (che ovviamente poi diventano molti di più). Praticamente il doppio del minimo sindacale italiano per primo violino e primo violoncello.
Direi che per quanto riguarda gli stipendi base, loro per ora ci stracciano.
2) Indennità varie.
Ricordo un articolo delirante di un giornale, passato alla storia più che altro per gli strafalcioni che conteneva, che si scandalizzava dell'indennità degli strumenti affini, ovvero clarinetti in mib, corno inglese (che secondo questo giornalista geniale era suonato dal cornista!!), ottavino etc. Che poi non è neanche vero, perché molti di loro si chiamano strumentisti "con l'obbligo dello strumento affine" proprio perché la loro prestazione non comporta indennità di alcun tipo (e nel CCNL è scritto molto bene. Art. 62). Ad ogni modo, non solo questo vale anche in Germania, ma in Germania gli "obblighi" per gli strumentisti a fiato valgono solo "al contrario" (ovvero, uno che è appuntato principalmente come corno inglese deve poter suonare l'oboe ma nel caso opposto, molto più comune, scatta l'indennità. Art. 20, comma 6); e se il ruolo principale è uno strumento affine, scatta un'indennità ancora più alta (un'indennità di livello 2 per la precisione. comma 3)!. In sintesi, praticamente l'indennità ci sta sempre.
Indennità di trasferta: purtroppo qui è un po' un casino perché le cifre del CCNL sono espresse in lire ancora dal 1989 (eppure il contratto è firmato nel 2014!! il potere del copiaincolla...) quindi non riesco bene a confrontare. Ad ogni modo, l'indennità stabilita nel CCNL di trasferta consta di 23€ per due pasti. Tutto qui. (Art. 70)
Ad ogni modo, tagliando corto, se si va nel TVK alla voce "Zuwendung" (sussidio, indennità), scopriamo, ad esempio (senza scendere in campi ovvi tipo sussidio malattia, sussidio morte, sussidio nuziale, paternità etc., dove ovviamente sono superprotetti così come in Italia), che l'indennità frac esiste anche lì e pure per contratto nazionale (in Italia no), si chiama "Kleidergeld" (art. 28, comma 2), che esiste un'indennità strumento molto più alta di quella italiana ed esiste in particolare un'indennità corde per gli archi (che addirittura cambia in base allo strumento, perché come si può intuire le corde di violoncello costano di più di quelle di violino) e un'indennità ance e bocchini per i legni (art. 27 e appendice "Tarifvertrag ueber Instrumentengeld, Rohr-, Blatt und Saitengeld"). Scopriamo che, incredibilmente, esiste addirittura un rimborso per le spese di trasloco o di spostamento legale del domicilio in seguito all'assunzione in una determinata orchestra (art. 30); che si può chiedere un anno sabbatico (pagato) (art. 37); che se il figlio fa la comunione o la cresima si ha diritto automatico a un permesso automatico (art. 40); che se si va a fare un'audizione per un'altra orchestra si ha diritto a un permesso pagato (fino a un massimo di tre volte l'anno) (idem). Le durate dei servizi sono perfettamente identiche (2 ore e mezzo per le prove di orchestra solo e orchestra con cantanti, 3 ore per prova di palcoscenico).
Etc. etc.
Insomma, tutto questo per dire cosa?
Innanzitutto, che i tedeschi sulla cultura musicale hanno costruito una vera e propria ragnatela strutturale che, per complessità, intelligenza ed equità, straccia quella italiana di parecchio. C'è molto più occhio alla meritocrazia, ma soprattutto all'esigenza! E' evidente che un'orchestra di una città come Francoforte o Berlino debba avere un finanziamento adeguato allo standard della città, al numero di dipendenti del teatro, al costo della vita della città in questione. Rendiamoci comunque conto che il fatto l'orchestra e il coro dell'Opera di Roma costino 13 milioni di euro all'anno deve fare i conti col fatto che Roma è una città dal costo della vita almeno doppio rispetto a Berlino, dove inoltre i salari sono inoltre innumerevolmente più alti. Di conseguenza, i teatri di periferia dove il costo della vita è che con 250€ al mese ci affitti un monolocale di 40 mq ricevono molti meno finanziamenti e nonostante tutto ce la fanno. Ricordiamo, inoltre, che è vero che in Germania ci sono 130 orchestre, ma che una buona parte di queste sono orchestre da camera o comunque piccole orchestre sinfoniche, che gli stipendi di queste orchestre sono minori e che quindi, in un certo senso, tutto si equilibra.
Un altro aspetto che ha secondo me giocato un ruolo fondamentale nella crisi dei teatri italiani e che pochi toccano è comunque l'enorme pressione fiscale che costringe i teatri a fare dei contratti aziendali da salasso per garantire uno stipendio netto adeguato. Senza entrare nei dettagli, quando ho lavorato da aggiunto per un mese mi è stato trattenuto il 38% dello stipendio (tra IRPEF e ex ENPALS, ora INPS). In Germania, circa il 25%. (fonte, la mia busta paga. No, quella non ve la allego :P ).
Un'ultima considerazione la voglio fare sulla qualità.
Qui purtroppo non posso citare fonti, calcoli, fatti concreti, ma solo la mia esperienza e il mio giudizio, se vi fidate.
E il mio giudizio è che, a parità di mezzi e di blasone, teatri italiani e tedeschi se la giocano.
Insomma, perché noi siamo alla canna del gas e loro sguazzano nel denaro (nella musica così come in tutto il resto)?
Non lo so.
C'è chi parla di mafie più o meno esplicite, chi di mala distribuzione, chi dello Stato che continua a tagliare fondi, chi dei sindacati, chi dei privilegi......
io credo che sia una combinazione di tutte queste cose, ma con percentuali di incidenza molto diverse tra loro (dalla maggiore alla minore, secondo il mio modesto parere)....anche se poi chi ne paga le conseguenze sono sempre gli stessi.
con questa piccola analisi, però, spero di essere riuscito a zittire tutte le bocche che continuano a tirare fuori modelli europei a caso, inneggiando alla sponsorizzazione privata, dicendo che gli italiani hanno troppi privilegi ignorando che all'estero fanno le stesse porcherie e pure di peggio, ma soprattutto, continuando a puntare il dito contro i musicisti quando nel teatro le persone che contano davvero, a livello gestionale, sono ben altre.
E' giusto condannare gli atteggiamenti ottusi dei sindacati e così via, ma è inutile guardare il dito che indica la Luna, rendiamoci comunque conto che se mancano i soldi, è perché qualche pesce grosso se li è mangiati.
Fonti varie:
http://www.dov.org/tl_files/pdf/Infos%20&%20Publikationen/DOV_Orchesteraufstellung.pdf
http://www.slc-cgil.it/wp-content/uploads/2014/05/CCNL-INTEGRALE-SOTTOSCRITTO.pdf
http://www.sachsen-gesetze.de/shop/mb_finanzen/2010/3/read_pdf
http://www.miz.org/static_de/themenportale/einfuehrungstexte_pdf/02_Musikfoerderung/soendermann.pdf
http://www.martin-matz.de/Kulturausgaben.pdf
http://www.miz.org/download/musikatlas/orchester.pdf
segnalo inoltre l'interessante articolo http://www.linkiesta.it/fondazioni-liriche che, tra un'idiozia e l'altra, propone qualche spunto un po' più interessante del solito
anche il seguente articolo http://costruiresumacerie.org/2012/06/10/come-affogare-nei-debiti-una-fondazione-lirico-sinfonica-italiana/ , benché senza fonti, spiega in maniera abbastanza veritiera come vengono sprecati i soldi nei teatri italiani (altro che indennità).
L'incresciosa vicenda dell'Orchestra e del Coro dell'Opera di Roma hanno riportato l'attenzione pubblica sulla situazione catastrofica della vita musicale italiana. Questo provvedimento è qualcosa di tristemente nuovo nel panorama italiano e, come al solito, tutti hanno sempre qualcosa da dire.
Dico subito che NON entrerò nel merito della vicenda specifica, dicendo secondo me chi ha ragione e chi ha colpa. Una mia idea ce l'ho ben chiara ma la tengo per me. Invece, dato che sovente mi capita di leggere articoli di giornale (soprattutto di destra, ma neanche la sinistra stavolta si è risparmiata, e persino dei giornali che reputavo semi-seri come La Stampa ci sono cascati) dove si mette nel calderone tanta di quella roba da distorcere completamente la realtà.
Vediamo un po' cosa si dice in giro:
http://www.retenews24.it/rtn24/cronaca/orchestrali-san-carlo-super-privilegi/
http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/opera-roma-licenziamento-coro-orchestra-ff7871d3-dba2-4bcc-8c73-66150117af6f.html
etc. etc.
insomma, sempre le solite storie. Indennità, privilegi, casta...guardate i Berliner, questi sobri tedeschi, che fanno le cooperative, sono figli del libero mercato e della sponsorizzazione privata, senza sindacati rompipalle e contratti nazionali....
mmm...sicuri?
Cominciamo sparando un po' sulla croce rossa, ovvero il primo dei due articoli (riprendendo parte del secondo). La testata non è delle più affidabili, probabilmente quell'articolo l'ha scritto una scimmia, ma tant'è, e quindi chiariamo una cosa: Berliner Philharmoniker, London Symphony, altri esempi buttati a casaccio....non sono orchestre d'opera!!!!
Uno dice: che c'entra? C'entra. E' un paragone imbecille. Innanzitutto, i Berliner ricevono eccome soldi pubblici! Per la precisione, 15 milioni di euro all'anno (13 dal Land Berlino e 3 dal monopolio della lotteria di stato. Sì, avete capito bene.). Ricordiamoci, comunque, che si sta parlando di un'orchestra sinfonica, che per ovvi motivi ha costi nettamente inferiori a quelli di una fondazione lirica (forse non è superfluo dire che una fondazione sinfonica deve pagare l'orchestra, il direttore e i solisti ospiti. Un teatro deve pagare l'orchestra, il direttore, i solisti ospiti, il regista, le comparse, il coro, i macchinisti, gli scenografi, la falegnameria, la sartoria etc.).
Grazie al cazzo, anch'io la so fare la cooperativa così....
Comunque vogliamo tranquillizzare tutti: a Berlino, visto che l'abbiamo tirato in ballo, ci sono tre teatri d'opera, in un'unica grossa fondazione chiamata Stiftung Oper in Berlin, formata da Staatsoper unter den Linden, Deutsche Oper e Komische Oper, che ricevono la bellezza di 114 milioni di Euro all'anno, praticamente metà dei fondi destinati ai teatri di tutta Italia. In un'unica fondazione. Nessuna delle loro orchestre è esternalizzata, come quei teatri che si continuano a citare che nessuno conosce (a parte Madrid).
Sfatiamo un altro mito: gli stipendi da nababbi e i privilegi. Nella sobria Germania non si spreca con simili sciocchezze.
uhm..
Dunque, cominciamo dalla base. In Italia esistono 13+1 fondazioni lirico sinfoniche (l'Accademia Nazionale di S. Cecilia è stata inclusa a posteriori), conta più o meno 6000 dipendenti tra musicisti, elettricisti, macchinisti, sarti etc. Insomma, una miniera d'oro del lavoro, se mi posso permettere. Queste fondazioni vengono finanziate in vari modi: attraverso sponsor privati (praticamente nulla), attraverso fondi regionali (e qui ci sono le regioni più generose e quelle che promettono i soldi, il Teatro fa una grande produzione con cachet altissimi e poi la regione ritira tutto, lasciando un buco enorme) e attraverso il Fondo Unico dello Spettacolo, che eccezionalmente nel 2014 ammontava a 260 milioni di euro, a cui si sono aggiunti 110 milioni dalle regioni (ma è stata molto più bassa per molti anni).
I contratti aziendali sono regolati dal CCNL "per i dipendenti delle fondazioni lirico sinfoniche", contratto redatto il 24 Marzo 2014 (anche se certi punti del contratto sono fermi da più di 10 anni e gli stipendi sono ancorda redatti in lire!!!).
In Germania invece cosa c'è? In Germania ci sono quelle che vengono chiamate "Kultur- und Kammerorchester", che sono 133 orchestre di cui 114 orchestre sinfoniche e d'opera, 7 orchestre da camera e 12 orchestre della Radio. Il sistema di finanziamento è estremamente complesso ed inoltre varia anche da Ovest a Est, in soldoni basti sapere che tutte queste sono "offentlich finanziert", ovvero ricevono soldi o dal comune della città che li ospita, o dal Land, o (più raramente, di solito quelle delle Radio) direttamente dal governo tedesco. I fondi stanziati dai vari enti pubblici raggiunge la cifra di 1.6 MILIARDI di €. Molte di queste orchestre sono governate dal TVK (Tarifvertrag der Kultur- und Kammerorchestern), che altro non è che il CCNL tedesco per le Kultur- und Kammerorchester. Questo contratto è stato redatto il 31 Ottobre 2009 e a quello che so è ancora in vigore. Contratto estremamente più complicato di quello italiano (basti pensare che la parte del CCNL dedicata ai professori d'orchestra è lunga 14 pagine, contro le 45 di quello tedesco, che è pure scritto più in piccolo...ma si sa che ai tedeschi piacciono le parole lunghe :D ), raggruppa le orchestre in 4 gruppi (A, B, C, D) che hanno diversi diritti riguardo ai posti in organico stabile e la retribuzione (anche questo fa l'occhiolino alla meritocrazia, cosa che nel CCNL manca del tutto visto che si mette tutti nella stessa broda).
Bene, adesso che la struttura è più o meno chiara, confrontiamo gli enormi privilegi di casta italiani contro le vite spartane dei tedeschi:
1) Stipendi. Vediamo cosa dice il CCNL:
dall'appendice "Tabelle Paga", vediamo come il salario minimo di un professore d'orchestra può variare dai 1556 € (sempre lordi, si intende) di un 5° livello (musicisti di fila neoassunti) ai 2289 del primo violino di spalla. Ovviamente poi la verità nei teatri è molto diversa, però intanto il contratto nazionale dice questo.
vediamo ora il TVK:
che ci crediate o meno, lo stipendio minimo più basso possibile in Germania (ovvero musicista di fila di un'orchestra di gruppo D) è quasi al livello del salario minimo di un violino di spalla italiano (si veda la sezione "Verguetungsordnungen" in fondo al TVK). Infatti si va dai 2212€, stipendio minimo più basso del gruppo di serie D, ai 3963€ dello stipendio minimo più alto del gruppo di serie A (dell'Ovest), ai quali va poi in caso aggiunta una Taetigkeitszulage (indennità di ruolo) che va dai 120€ mensili per i vorspieler (ovvero "quello che nella fila mostra le cose", ruolo che in Italia nemmeno esiste) del gruppo D ai 655€ dei Konzertmeister (spalle) del gruppo A. In sintesi, una spalla di un'orchestra di serie A tedesca si porta a casa MINIMO 4500€ lordi al mese (che ovviamente poi diventano molti di più). Praticamente il doppio del minimo sindacale italiano per primo violino e primo violoncello.
Direi che per quanto riguarda gli stipendi base, loro per ora ci stracciano.
2) Indennità varie.
Ricordo un articolo delirante di un giornale, passato alla storia più che altro per gli strafalcioni che conteneva, che si scandalizzava dell'indennità degli strumenti affini, ovvero clarinetti in mib, corno inglese (che secondo questo giornalista geniale era suonato dal cornista!!), ottavino etc. Che poi non è neanche vero, perché molti di loro si chiamano strumentisti "con l'obbligo dello strumento affine" proprio perché la loro prestazione non comporta indennità di alcun tipo (e nel CCNL è scritto molto bene. Art. 62). Ad ogni modo, non solo questo vale anche in Germania, ma in Germania gli "obblighi" per gli strumentisti a fiato valgono solo "al contrario" (ovvero, uno che è appuntato principalmente come corno inglese deve poter suonare l'oboe ma nel caso opposto, molto più comune, scatta l'indennità. Art. 20, comma 6); e se il ruolo principale è uno strumento affine, scatta un'indennità ancora più alta (un'indennità di livello 2 per la precisione. comma 3)!. In sintesi, praticamente l'indennità ci sta sempre.
Indennità di trasferta: purtroppo qui è un po' un casino perché le cifre del CCNL sono espresse in lire ancora dal 1989 (eppure il contratto è firmato nel 2014!! il potere del copiaincolla...) quindi non riesco bene a confrontare. Ad ogni modo, l'indennità stabilita nel CCNL di trasferta consta di 23€ per due pasti. Tutto qui. (Art. 70)
Ad ogni modo, tagliando corto, se si va nel TVK alla voce "Zuwendung" (sussidio, indennità), scopriamo, ad esempio (senza scendere in campi ovvi tipo sussidio malattia, sussidio morte, sussidio nuziale, paternità etc., dove ovviamente sono superprotetti così come in Italia), che l'indennità frac esiste anche lì e pure per contratto nazionale (in Italia no), si chiama "Kleidergeld" (art. 28, comma 2), che esiste un'indennità strumento molto più alta di quella italiana ed esiste in particolare un'indennità corde per gli archi (che addirittura cambia in base allo strumento, perché come si può intuire le corde di violoncello costano di più di quelle di violino) e un'indennità ance e bocchini per i legni (art. 27 e appendice "Tarifvertrag ueber Instrumentengeld, Rohr-, Blatt und Saitengeld"). Scopriamo che, incredibilmente, esiste addirittura un rimborso per le spese di trasloco o di spostamento legale del domicilio in seguito all'assunzione in una determinata orchestra (art. 30); che si può chiedere un anno sabbatico (pagato) (art. 37); che se il figlio fa la comunione o la cresima si ha diritto automatico a un permesso automatico (art. 40); che se si va a fare un'audizione per un'altra orchestra si ha diritto a un permesso pagato (fino a un massimo di tre volte l'anno) (idem). Le durate dei servizi sono perfettamente identiche (2 ore e mezzo per le prove di orchestra solo e orchestra con cantanti, 3 ore per prova di palcoscenico).
Etc. etc.
Insomma, tutto questo per dire cosa?
Innanzitutto, che i tedeschi sulla cultura musicale hanno costruito una vera e propria ragnatela strutturale che, per complessità, intelligenza ed equità, straccia quella italiana di parecchio. C'è molto più occhio alla meritocrazia, ma soprattutto all'esigenza! E' evidente che un'orchestra di una città come Francoforte o Berlino debba avere un finanziamento adeguato allo standard della città, al numero di dipendenti del teatro, al costo della vita della città in questione. Rendiamoci comunque conto che il fatto l'orchestra e il coro dell'Opera di Roma costino 13 milioni di euro all'anno deve fare i conti col fatto che Roma è una città dal costo della vita almeno doppio rispetto a Berlino, dove inoltre i salari sono inoltre innumerevolmente più alti. Di conseguenza, i teatri di periferia dove il costo della vita è che con 250€ al mese ci affitti un monolocale di 40 mq ricevono molti meno finanziamenti e nonostante tutto ce la fanno. Ricordiamo, inoltre, che è vero che in Germania ci sono 130 orchestre, ma che una buona parte di queste sono orchestre da camera o comunque piccole orchestre sinfoniche, che gli stipendi di queste orchestre sono minori e che quindi, in un certo senso, tutto si equilibra.
Un altro aspetto che ha secondo me giocato un ruolo fondamentale nella crisi dei teatri italiani e che pochi toccano è comunque l'enorme pressione fiscale che costringe i teatri a fare dei contratti aziendali da salasso per garantire uno stipendio netto adeguato. Senza entrare nei dettagli, quando ho lavorato da aggiunto per un mese mi è stato trattenuto il 38% dello stipendio (tra IRPEF e ex ENPALS, ora INPS). In Germania, circa il 25%. (fonte, la mia busta paga. No, quella non ve la allego :P ).
Un'ultima considerazione la voglio fare sulla qualità.
Qui purtroppo non posso citare fonti, calcoli, fatti concreti, ma solo la mia esperienza e il mio giudizio, se vi fidate.
E il mio giudizio è che, a parità di mezzi e di blasone, teatri italiani e tedeschi se la giocano.
Insomma, perché noi siamo alla canna del gas e loro sguazzano nel denaro (nella musica così come in tutto il resto)?
Non lo so.
C'è chi parla di mafie più o meno esplicite, chi di mala distribuzione, chi dello Stato che continua a tagliare fondi, chi dei sindacati, chi dei privilegi......
io credo che sia una combinazione di tutte queste cose, ma con percentuali di incidenza molto diverse tra loro (dalla maggiore alla minore, secondo il mio modesto parere)....anche se poi chi ne paga le conseguenze sono sempre gli stessi.
con questa piccola analisi, però, spero di essere riuscito a zittire tutte le bocche che continuano a tirare fuori modelli europei a caso, inneggiando alla sponsorizzazione privata, dicendo che gli italiani hanno troppi privilegi ignorando che all'estero fanno le stesse porcherie e pure di peggio, ma soprattutto, continuando a puntare il dito contro i musicisti quando nel teatro le persone che contano davvero, a livello gestionale, sono ben altre.
E' giusto condannare gli atteggiamenti ottusi dei sindacati e così via, ma è inutile guardare il dito che indica la Luna, rendiamoci comunque conto che se mancano i soldi, è perché qualche pesce grosso se li è mangiati.
Fonti varie:
http://www.dov.org/tl_files/pdf/Infos%20&%20Publikationen/DOV_Orchesteraufstellung.pdf
http://www.slc-cgil.it/wp-content/uploads/2014/05/CCNL-INTEGRALE-SOTTOSCRITTO.pdf
http://www.sachsen-gesetze.de/shop/mb_finanzen/2010/3/read_pdf
http://www.miz.org/static_de/themenportale/einfuehrungstexte_pdf/02_Musikfoerderung/soendermann.pdf
http://www.martin-matz.de/Kulturausgaben.pdf
http://www.miz.org/download/musikatlas/orchester.pdf
segnalo inoltre l'interessante articolo http://www.linkiesta.it/fondazioni-liriche che, tra un'idiozia e l'altra, propone qualche spunto un po' più interessante del solito
anche il seguente articolo http://costruiresumacerie.org/2012/06/10/come-affogare-nei-debiti-una-fondazione-lirico-sinfonica-italiana/ , benché senza fonti, spiega in maniera abbastanza veritiera come vengono sprecati i soldi nei teatri italiani (altro che indennità).
sabato 4 ottobre 2014
Il 'melomane' Cofferati: "I vertici dell'Opera di Roma si assumano le loro responsabilità"
"La sensazione è che ormai, sull'onda di questa linea di liberismo senza freni che sta dilagando, qualunque situazione di difficoltà venga affrontata iniziando dall'anello più debole. Ma così non si costruisce nulla e inevitabilmennte si alimenta il conflitto: è inevitabile che i licenziati cerchino di far valere i loro diritti, le loro esigenze e poi non si capisce dove si va". Sergio Cofferati, ex segretario della Cgil e melomane da sempre, con una passione dichiarata per l'opera lirica, lega così, conversando con l'AdnKronos, la drammatica svolta imposta alla vicenda del Teatro dell'Opera di Roma dalla decisione del cda di licenziare orchestra e coro e l'aria che tira in Italia sul fronte dell'articolo 18.
La scelta dei licenziamenti all'Opera per Cofferati da un lato rende "chiaro che il problema che ha sollevato Muti con la sua uscita era molto più consistente e grave di quello che si è voluto far apparire", dall'altro dovrebbe essere "evidente che se l'Opera di Roma è nelle condizioni che vengono denunciate chi l'ha gestita ne ha la responsabilità primaria. Se quell'azienda che produce cultura va così male dovrebbe esserci una assunzione di responsabilità da parte del Consiglio di Amministrazione, del Presidente e del Sovrintendente. Invece si comincia da chi produce".
"Di fronte ad un ente lirico in dissoluzione il cda che affronti tutti i problemi che hanno, immagino con varia intensità, portato a questa situazione prefallimentare - scandisce Cofferati - invece dicono 'adesso licenziamo questi, poi vedremo'. Non ho mai visto gestire una impresa, un ente in crisi in questo modo".
Il nodo vero, per Cofferati, è quello che stringe buona parte della lirica italiana, al di là del caso specifico dell'opera di Roma: "Credo che le fondazioni liriche, non a caso ce ne sono almeno otto in grandissima sofferenza, abbiano un problema che le coinvolge tutte, l'ormai comprovata inadeguatezza della legge che le ha istituite. Servirebbe una nuova legge nazionale in materia".
"Il primo problema che deriva dall'attuale regolamentazione delle fondazioni liriche, anche per l'Opera di Roma, riguarda la certezza dei finanziamenti -sottolinea Cofferati- il coinvolgimento dei privati così come è stato immaginato è fallito, non funziona. Se si vogliono prendere a riferimento le fondazioni anglosassoni bisogna partire dal principio che il privato che investe ha un vantaggio fiscale. Da noi non è così, quindi il peso rimane prevalentemente sulle spalle pubbliche e le difficoltà aumentano".
"Poi serve, di nuovo anche per l'Opera di Roma, quello che si potrebbe chiamare un 'piano artistico', cioè -spiega Cofferati- quale produzione ci si orienta a fare, con quali costi, e con quale modello organizzativo. Non mi pare che il cda del Costanzi, i suoi vertici, abbiano intenzione di esercitarsi du questi temi, vogliano assumersi le loro responsabilità".
venerdì 3 ottobre 2014
IL CASO RICCARDO MUTI E LA GUERRA ALL’OPERA DI ROMA
di Michelangelo Pecoraro
Una farsa annunciata, una sequela di cialtronerie, annunci fumosi, falsità e veleni più o meno motivati, ripicche e alzate di spalle. Un campionario delle peggiori schifezze che l’Italia possa vantare in campo artistico, insomma, racchiuso nella vicenda smossa in questi giorni dal pesante forfait di Riccardo Muti. E, senza eccedere in retorica, è possibile leggere in filigrana la fase storica vissuta dal Paese nelle beghe che animano politici, giornalisti e musicisti più o meno sindacalizzati attorno alle vicende del Teatro dell’Opera di Roma.
I più interessati all’argomento già hanno potuto leggere oceani di byte, formandosi una dettagliata opinione in merito. Mi rivolgo dunque, paradossalmente, data la lunghezza di questo articolo, ai meno interessati, la cui conoscenza della vicenda si basa su frammenti di articoli, spezzoni di programmi televisivi, telegiornali e sentito dire. Parlerò anche di un contesto più ampio in cui alcune prese di posizione, altrimenti incomprensibili, trovano la loro logica.
I più interessati all’argomento già hanno potuto leggere oceani di byte, formandosi una dettagliata opinione in merito. Mi rivolgo dunque, paradossalmente, data la lunghezza di questo articolo, ai meno interessati, la cui conoscenza della vicenda si basa su frammenti di articoli, spezzoni di programmi televisivi, telegiornali e sentito dire. Parlerò anche di un contesto più ampio in cui alcune prese di posizione, altrimenti incomprensibili, trovano la loro logica.
Il mondo dell’opera è da qualche anno, come altri aspetti nella vita del nostro paese, al centro di tensioni. Ci si potrebbe limitare alla natura economica dei problemi, e fra poco ne parlerò dettagliatamente, ma tale natura nasconde molteplici e complesse vicissitudini. Il casus belli, questa volta, è di quelli memorabili: il sovrintendente del Teatro dell’Opera di Roma, Carlo Fuortes, comunica alla stampa di aver ricevuto da Riccardo Muti una lettera; nel testo citato, il maestro si scrolla di dosso gli impegni – Aida e Le nozze di Figaro – assunti con il teatro per l’imminente stagione. Fuortes ricama, tra una citazione e l’altra, un florilegio di attacchi ai sindacati, rei di aver compromesso “la serenità necessaria” con una serie di scioperi culminati nella battaglia estiva di Caracalla.
Ho scritto un primo articolo, subito dopo il comunicato di Fuortes, in cui mi chiedevo se la lettera di Muti sarebbe mai stata resa pubblica. Non sono stato l’unico. Muti ha infine deciso di pubblicare la lettera sulla sua pagina facebook ufficiale. Il commento di accompagnamento inizia con le parole. “Per chiarezza, pubblichiamo integralmente la comunicazione inviata…” Eppure il baccano esegetico continua, la “chiarezza” non è giunta e il motivo è chiaro: il breve testo è un miracolo di equilibrismi in cui si può leggere di tutto. Si parla di “problematiche”, “sforzi”, “vostra causa” (di chi? del teatro? del sovrintendente? dell’orchestra?), “ultimi tempi” (un mese? due? un anno? dieci?).
Gli attori istituzionali continuano a cianciare di un possibile ritorno di Muti, una volta calmate le acque, ma è lo stesso direttore a considerare “irrevocabile” la decisione. Nella lettera precisa di volersi dedicare, «in Italia, sopratutto (sic<) ai giovani musicisti dell’Orchestra Cherubini» da lui fondata. Aggiungiamo un dettaglio non di poco conto che alcuni commentatori già hanno avuto lo spirito di far notare: la lettera è stata scritta su carta intestata della Chicago Symphony Orchestra, l’altro ente diretto da Muti da qualche anno. Chi lamentava il dualismo negli impegni del maestro ora è stato accontentato: il dilemma è sciolto e la decisione a favore dell’orchestra americana è stata presa.
È giusto addossare questo addio ai soli sindacati in agitazione all’Opera di Roma? Senza ombra di dubbio, no. Argomenti di peso remano contro un’ipotesi del genere: nonostante le minacce di sciopero, l’orchestra romana non ha MAI fatto saltare uno spettacolo del direttore, a differenza della Chicago Symphony Orchestra che, nel settembre 2012, organizzò uno sciopero improvviso due ore prima di un concerto che Muti avrebbe dovuto dirigere. E questo argomento basterebbe, contro chiunque parli di “colpa unica dei sindacati”. Un altro argomento non di poco conto riguarda il personaggio-Muti: quando il maestro vuole mandare un messaggio chiaro a qualcuno, da brava primadonna, non le manda certo a dire. Lo ha fatto in passato con diversi esponenti del mondo della politica e della musica e, negli anni scorsi, ha già smentito le ricostruzioni di giornalisti che cercavano di incolpare solo i sindacati per le tensioni all’interno del teatro romano. Facciamo un ulteriore passo e chiediamoci: a chi è che Muti ha mandato messaggi chiari, ultimamente? Alle “maggiori istituzioni”, al sindaco di Roma e al ministro Franceschini; cioè a chi sgancia i soldi.
Ecco un estratto dalle dichiarazioni che il maestro ha rilasciato a Tokyo, dove questa estate si è recato in tournée con l’Orchestra dell’Opera di Roma: «Credo che proprio l’identità italiana in Italia da parte di alcune maggiori istituzioni si stia perdendo. Il fatto che il teatro della capitale dia dimostrazioni a questo livello… credo che sia un messaggio che da Tokyo debba arrivare non solo al sindaco di Roma ma anche al ministro Franceschini. Si deve capire che nel teatro di Roma c’è un tesoro che va potenziato: non aiutato, potenziato». Un problema di soldi, dunque, e di connessa qualità artistica. Come afferma in un servizio per il programma Agoràil fagotto e controfagotto dell’orchestra romana, Fabio Morbidelli: «Muti fa spettacoli importanti, e pretende che le cose si facciano come dice lui, cioè bene. Le cose fatte bene costano. Qui in Italia i soldi per questo settore non ci sono più». Il sindaco Marino, il sovrintendente Fuortes (messo là da Marino) e il ministro Franceschini sono i primi ad aver rilasciato dichiarazioni pubbliche contro i sindacati e di “solidarietà e comprensione” verso Muti. Qualcuno, sui social network, ha ricordato con ironia e saggezza un detto popolare: la gallina che canta ha fatto l’uovo.
I sindacati sono del tutto esenti da coinvolgimento, dunque? Nemmeno. Il fatto che Muti abbia mantenuto una certa ambiguità, nella lettera di dimissioni, parla chiaro: non vuole accusare gli orchestrali, ma non vuole nemmeno discolparli pubblicamente. A un uomo concentrato principalmente sulle proprie ragioni non può di certo aver fatto piacere una così continua fibrillazione. Del resto, non avrebbe potuto attaccare esplicitamente la sua ormai ex orchestra: ha già una fama di “bacchetta dittatoriale” per le sue passate vicissitudini con la Scala, ci mancherebbero anche nuove polemiche con l’orchestra che l’ha amato al punto da farlo nominare “Direttore Onorario a vita”, carica curiosa che nell’ambiente musicale fa sogghignare più di qualcuno, e che ora gli ha inviato una lettera di amore incondizionato
A questo punto, giungono i giornalisti – l’ingrediente peggiore in un mix già esplosivo – e mi concedo una breve digressione ispirata a uno degli articoli più brutti che abbia letto sull’intera vicenda, a firma Filippo Facci.
Sono pochi gli organi informativi di questo paese a salvarsi, e quelli finanziati dalla politica, cioè la maggior parte di quelli più diffusi, sono i peggiori in assoluto: potenzialmente entità di grande importanza per garantire il pluralismo dell’informazione, all’atto pratico si riducono spesso a cassa di risonanza per i potentati del momento più o meno amici. E così è andata anche questa volta, con uno sconcertante (o indicativo, a seconda dei punti di vista) allineamento delle testate considerate “di destra” a quelle “di sinistra”. I politici, come capita, hanno sparato scemenze nel mucchio, tirando la giacchetta dei numeri e delle parole un po’ da una parte e un po’ dall’altra e mostrando di non aver capito una mazza (o di aver capito troppo bene), ma alcuni giornali e alcuni giornalisti si sono accaniti con particolare verve contro gli orchestrali sindacalizzati, appiattendosi sull’interpretazione data alla lettera di Muti da Fuortes, Marino e Franceschini. La galleria dei peggiori, oltre al già citato Facci, comprende vari pezzi di telegiornali (regionali e non), articoli su Repubblica (Francesco Merlo, Leonetta Bentivoglio e altri), sulla Stampa (dove un accanitissimo Altero Mattioli sembra avere risentimenti personali contro tre quarti degli orchestrali), sul Tempo (un Chicco Testa in grande spolvero allinea una serie di insulti senza capo né coda), sul Corriere, sul Messaggero, la puntata di Virus, trasmissione condotta da Nicola Porro, del 25 settembre (invitato da Facci),eccetera eccetera eccetera.
Sono pochi gli organi informativi di questo paese a salvarsi, e quelli finanziati dalla politica, cioè la maggior parte di quelli più diffusi, sono i peggiori in assoluto: potenzialmente entità di grande importanza per garantire il pluralismo dell’informazione, all’atto pratico si riducono spesso a cassa di risonanza per i potentati del momento più o meno amici. E così è andata anche questa volta, con uno sconcertante (o indicativo, a seconda dei punti di vista) allineamento delle testate considerate “di destra” a quelle “di sinistra”. I politici, come capita, hanno sparato scemenze nel mucchio, tirando la giacchetta dei numeri e delle parole un po’ da una parte e un po’ dall’altra e mostrando di non aver capito una mazza (o di aver capito troppo bene), ma alcuni giornali e alcuni giornalisti si sono accaniti con particolare verve contro gli orchestrali sindacalizzati, appiattendosi sull’interpretazione data alla lettera di Muti da Fuortes, Marino e Franceschini. La galleria dei peggiori, oltre al già citato Facci, comprende vari pezzi di telegiornali (regionali e non), articoli su Repubblica (Francesco Merlo, Leonetta Bentivoglio e altri), sulla Stampa (dove un accanitissimo Altero Mattioli sembra avere risentimenti personali contro tre quarti degli orchestrali), sul Tempo (un Chicco Testa in grande spolvero allinea una serie di insulti senza capo né coda), sul Corriere, sul Messaggero, la puntata di Virus, trasmissione condotta da Nicola Porro, del 25 settembre (invitato da Facci),eccetera eccetera eccetera.
Negli argomenti, trovati perlopiù con l’ausilio del copiaincolla, si ripetono una serie di falsità e inesattezze. In generale, si nota la bieca abitudine di prendere episodi particolarissimi e renderli specchio della normalità, pratica già tristemente usata per altri settori come la pubblica istruzione (i casi più eclatanti di “baronie”, con cui da anni si giustificano tagli su tagli a un settore dello stato in profonda sofferenza). Vale la pena, però, citare i due argomenti più usati:
- la panzana per cui gli orchestrali dell’Opera di Roma sarebbero “i più pagati del mondo”;
- l’elenco delle “indennità” che percepirebbero orchestrali e coristi;
Sul gruppo facebook dell’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma, strumento utilissimo per venire a conoscenza di dati costantemente ignorati dai principali organi di informazione, il già citato Fabio Morbidelli dichiara che con il proprio status contrattuale da “prima parte B”, con il massimo degli scatti di anzianità e comprese tutte le indennità, il proprio stipendo si aggira sui 2.200 euro al mese. E vale la pena andarle a vedere, queste indennità. Sono tre: indennità “mensa e vestiario” (non fornito dalla Fondazione che però, come in ogni orchestra, lo pretende in linea con certe prassi); indennità “spettacoli all’aperto”, nei quali, come spiega Morbidelli, gli strumenti “si deteriorano notevolmente, per questa ragione molti hanno comprato strumenti allo scopo”; indennità “strumento”, dato che gli orchestrali usano in teatro strumenti di loro proprietà dal costo di migliaia o decine di migliaia di euro, per i quali può capitare che debbano aprire mutui e che necessitano spese continue di manutenzione. Insomma, a occhio e croce pare difficile parlare degli orchestrali “più pagati del mondo”.
Ma allora perché tutto questo accanimento? Ecco l’importanza del contesto. Di cosa si parla in questi giorni su tutti gli organi d’informazione citati? Della grande battaglia in corso tra il partito dei mercati, con Renzi in prima fila a perorare l’abolizione dei reintegri sul posto di lavoro (le spoglie dell’articolo 18) per licenziamenti causati da “motivi economici” (“un’azienda deve sapere quanto spenderà se vuole andarsene”, ha detto il Presidente del Consiglio nell’ultima Direzione PD), e i sindacati che, nelle ore più buie della loro storia recente, cercano di ritrovare un minimo di compattezza (con la CGIL in prima linea che ha già messo sul piatto la minaccia di sciopero generale).
Vogliono “flessibilità”, vogliono insomma la possibilità di poter licenziare con più tranquillità, di poter lasciare le persone a casa in un periodo in cui gli affari non vanno tanto bene per poi richiamarle quando le cose ricominciano a girare, di poter contrattare il prezzo del lavoro da posizioni di forza sempre maggiori. E lo vogliono in ogni ambito. Il caso del Teatro dell’Opera di Roma, esploso proprio nel momento più critico di questo grande scontro, viene oggi usato dai giornali come exemplum: paradigma di ciò che può succedere a lasciare le cose in mano ai pericolosi e conservativi sindacati. Che può succedere? Che un direttore del talento di Muti se ne vada all’estero. Ecco perché bisogna bastonare i sindacati e i lavoratori sindacalizzati, in questo caso gli orchestrali.
Si aggiunga un altro tassello: il tentativo fatto dall’Italia, negli ultimi anni, di tagliar via parte delle proprie prerogative statali per affidarle ai privati. Nel campo della lirica passi importanti sono stati fatti con la nascita delle “fondazioni”, processo iniziato negli anni Novanta, e l’anno scorso con la legge Bray, non a caso salutata con favore dagli organi di informazione succitati, che introduce nei teatri la “meritocrazia” di gelminiana memoria: criteri quantitativi, maggior produttività, diminuzione degli stipendi (per i lavoratori semplici, non certo per i “super-tecnici” chiamati a sovraintendere queste operazioni), licenziamenti e ricollocamenti.
Qualcuno potrebbe obiettare che tutto questo non ha nulla a che vedere con il forfait di Muti, ma sbaglierebbe. Sarà un caso che abbia voluto dire la propria sulla vicenda anche l’Istituto Bruno Leoni, “idee per un libero mercato”, associazione che si autodefinisce “liberale, liberista, mercatista”? Sarà un caso che tutto il trambusto cominciato con il forfait di un direttore finisca con l’auspicio da parte dei “soci” (Comune, Regione e Ministero) di modificare tutti i contratti per i lavoratori trasformandoli in contratti a termine? Proprio questa è la proposta fatta dal sovrintendente Fuortes, da Marino, da Zingaretti e Franceschini al termine di un colloquio tenuto l’altro giorno, le cui decisioni verranno discusse dal prossimo Cda del teatro romano, nell’assoluta chiusura al dialogo con i sindacati. Posizioni molto, molto vicine a quelle che il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha espresso e continua a esprimere in questo periodo.
giovedì 2 ottobre 2014
Opera, sipario su Muti. Il teatro prova a ripartire dai conti e dal personale
Il salvataggio della legge Bray: venti milioni in arrivo e piante organiche modificabili dalla fine del 2014
di ALESSANDRA PAOLINIDunque, per la prima dell'Aida in cartellone il 27 novembre prossimo bisognerà cercare un altro direttore, e così per Le nozze di Figaro, a maggio. Una bomba che si abbatte sul Costanzi, dopo una stagione complicatissima e piena di veleni fatta di bilanci in rosso, scioperi degli orchestrali, minacce di commissariamento, sindacati divisi e rappresentazioni sfumate all'ultimo. Come è successo quest'estate a Caracalla con la Bohème saltata per la protesta degli orchestrali, lasciando il pubblico basito e tanti turisti a chiedersi il perché.
Ma il periodo nero per il teatro Costanzi, 460 persone assunte in pianta stabile, comincia tempo fa. Con un indebitamento che di anno in anno si fa più grave. C'è bisogno di una ristrutturazione, di mettere mano ai conti, di pensionare, di aumentare le produzioni se non si vuole chiudere i battenti. Il bilancio consuntivo del 2013 parla di un deficit di 12 milioni e 900; l'indebitamento netto è di 28,8 milioni di euro. E' crisi nera. Ed l'ottobre del 2013. Il Costanzi rientra nei finanziamenti della legge voluta dal ministro Bray. E Carlo Fuortes viene chiamato alla sovrintendenza.
Ma è proprio con la prima dell'Ernani diretta da Riccardo Muti, che lo scorso novembre le proteste sindacali esplodono. La rappresentazione fino all'ultimo è in bilico. Quando il maestro alla fine sale sul palco, la platea si scioglie in un'ovazione per lo spettacolo bellissimo e per la tensione che finalmente se va via.
Ma è un illusione. I sindacati si spaccano. A inizio estate Cgil e Fials non firmano il piano industriale di Fuortes che non prevede alcun licenziamento ma 65 pensionamenti e l'intenzione di aumentare la produttività. Facendo lavorare tutti di più. "Si vuol far diventare il teatro dell'Opera un teatro di provincia", l'accusa di una parte dei sindacati. E ancora "Il piano di ristrutturazione serve solo a depotenziare il teatro, manca la progettualità".
Intanto a maggio arrivano i primi milioni: cinque. L'estate porta scioperi e spettacoli senza orchestra. Ma anche un aumento degli spettatori da 41.000 del 2013 a 57.000. Il numero dei biglietti venduti sale del 30 per cento. Il bilancio si risana. Ma a paraggio raggiunto nell'attesa di altri 20 milioni del "pacchetto" Bray, ecco il colpo di scena: Muti sbatte la porta e se ne va. Lasciando tutti a bocca aperta. "Una scelta influenzata dall'instabilità in cui versa l'Opera a causa delle proteste, della conflittualità interna e degli scioperi durati mesi con gravi disagi per il pubblico internazionale e nazionale che aveva acquistato i biglietti", spiegano ancora intontiti dalla "botta" Fuortes e Marino. "Siamo dispiaciutissimi dice Pasquale Failla nel coro del Teatro e nella Cgil, una delle due sigle "ribelli" Il maestro lo abbiamo sempre sostenuto, non se ne è certo andato via per colpa nostra. Anzi abbiamo cercato di difendere la sua grande capacità organizzativa. Lui è il più grande, l'unico ad essere riuscito a dare un'identità forte al teatro dell'Opera".
Ma ora cosa accadrà? L'uscita di scena di Riccardo Muti porta con sé tante incognite. Una è da sciogliere in poco tempo: trovare due direttori che possano sostituirlo. Per l'Aida che doveva aprire la stagione 20142015 il 27 novembre prossimo, un altro per Le nozze di Figaro in programma dal 21 maggio.
Una bella gatta da pelare per Fuortes, Marino e il Consiglio di amministrazione (che a dicembre dovrà essere rinnovato). A breve l'incontro. Urge una strategia per parare il bruttissimo colpo.
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