mercoledì 13 ottobre 2010

Se Tremonti taglia, sarà l’ultima stagione scaligera


Le cifre di un disastro annunciato, non solo per enti lirici e cinema

La prossima inaugurazione della stagione della Scala, il 7 dicembre, potrebbe essere l’ultima, se saranno confermati i tagli al ministero per i Beni e le attività culturali programmati da Giulio Tremonti e duramente contestati da Sandro Bondi. Se, cioè, il Fondo unico per lo spettacolo – al quale attingono anche gli enti lirici, che pure sono stati oggetto di una combattuta riforma per contenerne i costi – vedrà crollare del 34 per cento il proprio budget, dai circa 402 milioni di euro del 2010 ai 262 del 2011, insufficienti anche per pagare gli stipendi dei dipendenti. Per tentare di scongiurare questo e altri effetti della mannaia tremontiana, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, sta organizzando per la prossima settimana, quando Berlusconi tornerà a Roma, un incontro con i due ministri ormai apertamente duellanti su quello che rischia di diventare il cadavere della cultura italiana.

Il rischio non è remoto. Dal 2008 al 2013 sono stati programmati tagli per un miliardo e 715 milioni di euro (compresi i tagli al Fus) su un totale di circa tre miliardi. Della cifra rimanente, si calcola che circa un miliardo se ne vada in stipendi e in ordinaria gestione (Ici, bollette). Rimane una dotazione del tutto insufficiente a finanziare cinema, teatro, danza, enti lirici, fondazioni, patrimonio archeologico, istituti culturali. Sta inoltre andando a scadenza per inerzia il provvedimento con cui erano stati introdotti, all’epoca di Rutelli ministro, sgravi fiscali per chi produceva film in Italia, con detassazione di una parte degli utili reinvestiti (è il sistema usato in America). Il triennio sperimentale della norma scade a fine anno, e nonostante i buoni frutti (investimento di capitali esteri in produzioni cinematografiche per 49 milioni di euro) non c’è nessun segnale di volerla confermare. E pazienza se la defiscalizzazione degli investimenti è il primo, essenziale passo per attirare i privati e sollevare lo stato.

Non è esagerato, quindi, come fa il ministro Bondi, parlare di condanna a morte del comparto culturale italiano se prevarrà la linea tremontiana del “non è che la gente la cultura se la mangia” (ma il ministro fa sapere al Foglio che non ha mai detto quella cosa). Si può decidere che in Italia non si restaurerà più il palazzo storico che crolla, ma tagliare i fondi a un ente sinfonico significa chiuderlo. Con le cifre a disposizione “l’effetto sarà una valanga di fallimenti”, dicono al Collegio Romano, e sottolineano che altrove (in Francia, in Germania, addirittura in Grecia) tutto è stato tagliato ma i fondi per la cultura no, perché lo sviluppo economico passa anche da lì. E se il mondo dello spettacolo riesce a rendere visibile il malcontento, c’è un altro settore in sofferenza. Quello di decine di piccole e spesso illustri fondazioni culturali, che lo stato finanzia con modesti contributi, destinati a scomparire, con la conseguente chiusura di queste istituzioni. Il criterio del taglio “egualitario” del 35 per cento del budget di ogni ministero è per lo meno dubbio. Un conto è rimandare la Livorno-Cecina, dicono al Mibac, un conto è condannare a morte il sistema culturale “per non voler confermare il budget del 2009, già decurtato del 20 per cento rispetto al 2001. Il costo totale per far vivere 262 istituti culturali è di venti milioni di euro l’anno”. I produttori di mozzarella veneti hanno ottenuto cinquanta milioni grazie a un comma voluto da Luca Zaia.

http://www.ilfoglio.it/soloqui/6443

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