lunedì 11 ottobre 2010

Tremonti riconosca il valore inestimabile della cultura italiana


di LUCA BARBARESCHI

L’appello quasi disperato del ministro Sandro Bondi non deve rimanere inascoltato, coinvolge tutti noi in una responsabilità collettiva per la salvaguardia e promozione del nostro patrimonio culturale. Il resoconto del Consiglio dei ministri di ieri è allucinante per chi ha cuore la vera ricchezza del Paese, la nostra storia e la nostra cultura, con tutte le espressioni dell’arte, dal teatro all’archeologia, dall’arte figurativa alla lirica, passando per il paesaggio, bene immateriale e unico del nostro patrimonio.
Come si fa a trovare i soldi per pagare le multe per le quote latte, dunque per assecondare una malversazione conclamata, e non per la salvezza del Teatro Carlo Felice, o per la riorganizzazione di Pompei e la salvezza della Biblioteca Nazionale di Firenze?
È vero che tagli e risparmi si effettuano in tutta Europa, ma certamente non in questi settori, così come gli altri paesi investono in formazione e ricerca, oltre che nella promozione del proprio patrimonio. Il nostro riferimento dovrebbe essere la Francia oppure la Spagna, paesi dove la cultura ha un ruolo determinante nello sviluppo del turismo e nella promozione del rilancio dopo la crisi. Negli ultimi anni appaiono sempre più chiari e netti i nessi stretti che legano cultura ed economia nelle società industriali avanzate. Il patrimonio culturale è un volano per l’economia e una missione per il Paese, non un ostacolo per il profitto; troppo spesso in passato si è ritenuto che cultura e creatività fossero all’ultimo posto per quanto riguarda il loro apporto a livello di crescita economica e di occupazione. Insomma, costi molti e ricavi pochi. La verità è che questa concezione è grossolanamente inesatta, come rilevato da importanti studi europei quale ad esempio The Economy of Culture. Il comparto dello spettacolo da questo punto di vista è esemplificativo, Infatti anche solo da un punto di vista occupazionale, il comparto cultura e creatività batte alla grande per tasso di crescita il resto dell’economia europea. A ciò si aggiunge il fattore di coesione che la cultura offre, promuovendo l’integrazione sovranazionale. Ed ecco quindi che quella che si supponeva essere la Cenerentola di lusso dell’economia – la Cultura – diventa una principessa, presentando un autoritratto economico di ragguardevole interesse.

L’idea del coinvolgimento di nuovo attori nella gestione del patrimonio è senza dubbio interessante, ma di per sé non è sufficiente. L’altro ieri Vincenzo Manes sul Corriere della Sera ha disegnato un interessante scenario di governance per il coinvolgimento di nuove risorse economiche e per il rapporto pubblico/privato nella gestione dei Beni Culturali, ma senza una precisa volontà politica di indirizzo e senza conseguenti nomine ai posti di responsabilità – nei teatri, nelle soprintendenze, nei ruoli chiave del Ministero – di profili alti e di competenza provate e certificate, non si arriva da nessuna parte.

Dobbiamo renderci conto che il nostro patrimonio culturale si articola in attività non industriali e attività industriali, dove fra le prime si includono tutti i contributi artistici puri – pittura, scultura, musica, teatro, musei e patrimoni artistici, per citarne solo alcuni – e fra le seconde i prodotti culturali per la riproduzione di massa: film, televisione, libri e musica, webtv, prodotti multimediali. Senza inoltre dimenticare il settore creativo del nostro patrimonio, che è invece quello che offre input e ispirazione per la produzione di prodotti culturali non nel senso tradizionale del termine, quali la moda, il design, l’architettura.

La nostra sfida deve essere quella di far diventare il nostro patrimonio, lo spettacolo e la cultura, temi prioritari nell’agenda del nostro Paese. L’idea potrebbe essere quella di indire gli Stati generali dei beni culturali, una proposta trasversale e bipartisan che possa arrivare a disegnare un futuro per il nostro patrimonio, minacciato da una situazione che non è mai stata tanto allarmante.


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