giovedì 6 maggio 2010

Teatri lirici, nulla di fatto dall'incontro con Bondi: confronto lampo di 30 minuti

I sindacati incontrano il Ministro. Barenboim: "Un errore disinvestire". La protesta continua.


Un incontro lampo, un buco nell’acqua, un nulla di fatto. Prevedibile l’esito, meno la durata: trenta minuti appena sono bastati al ministro Sandro Bondi e ai quattro rappresentanti sindacali del comparto per mandare all’aria qualsiasi tentativo di mediazione sul decreto-legge relativo agli enti lirici, che tante proteste sta suscitando nei teatri di mezza Italia. Da una parte il Ministero dei Beni Culturali che intende mantenere inalterato il testo, dall’altro le delegazioni sindacali che non mollano l’obiettivo del ritiro del testo, annunciando la prosecuzione dello stato di agitazione delle 14 fondazioni liriche.

Slc Cgil: "Il governo non vuole fare passi indietro"

"Alla nostra richiesta di rimuovere norme illegittime che intervengono sulle retribuzioni dei lavoratori e sui contratti di lavoro, il Governo si è detto indisponibile a recedere": così il segretario generale della Slc/Cgil, Emilio Miceli, ha commentato a caldo la conclusione dell'incontro con Bondi. "Credo – ha aggiunto - non fosse questo lo spirito con cui il Presidente della Repubblica ha sollecitato l’incontro. Ovviamente se il Ministro dei Beni Culturali ha qualche novità, sa dove trovarci".

L'ora della verità con Bondi?

Continua la lotta dei teatri lirici. Kermesse di protesta ieri sera a Roma. Intanto si guarda all'appuntamento col ministro Bondi, fissato per oggi, come a un decisivo "momento della verità", dopo tante tensioni.
“Speriamo sia un incontro serio e propositivo e non un giro di valzer. Diremo al ministro che procedere per decreto su una materia delicata come le fondazioni lirico-sinfoniche non porta da nessuna parte, che i problemi sono sotto gli occhi di tutti e che servirebbe una vera riforma, come auspichiamo da dieci anni”.
Sull’onda delle proteste che stanno investendo tutti i teatri lirici italiani, e che hanno portato alla cancellazione di prime stagionali di prestigiosissime istituzioni del paese - dalla Scala al Carlo Felice, dal teatro regio al Petruzzelli - Silvano Conti, delegato Slc Cgil, non arretra di un passo.

Oggi l’incontro

Oggi le quattro rappresentanze sindacali del settore (“unite più che mai”, precisa Conti) incontreranno il ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi, su sollecitazione diretta del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ha prima rimandato al mittente e in un secondo momento firmato il decreto di revisione dell’attuale assetto delle fondazioni lirico-sinfoniche, in totale 14, che ora attende di essere convertito in legge entro 60 giorni.
“Noi chiediamo che venga ritirato a favore di una riforma discussa in Parlamento e concertata con noi”, spiega Conti.

Barenboim: "E' un errore disinvestire nella musica"

Della stessa idea è anche Daniel Barenboim, maestro scaligero, riferendosi al decreto di riforma degli enti lirici, in un incontro con la stampa tenutosi nella Sala gialla del teatro meneghino: "È sbagliato penalizzare un teatro prestigioso come la Scala e, per un Paese come l'Italia, è un errore culturale disinvestire sulla musica".
"Faccio musica da 60 anni - ha detto Barenboim - e mi chiedo come sia possibile punire un teatro come la Scala che sta crescendo sia qualitativamente che in termini di spettacoli prodotti.
Se contiamo anche le tournee internazionali la Scala esegue più di 300 spettacoli musicali all'anno".
Disinvestire nella musica, secondo Barenboim, significa ignorare il patrimonio culturale italiano e lanciare un messaggio negativo a livello di immagine del nostro paese "perchè, quando all'estero si pensa all'Italia, si pensa a Dante, a Michelangelo, ma anche a Verdi".
Il maestro scaligero ha poi chiesto alla comunità politica di "guardare alla cultura in generale e alla musica in particolare come a una necessità per tutto il popolo" perchè il fatto che la musica lirica e quella sinfonica siano considerate elitarie è dovuto alla "scarsa educazione musicale", ma la musica è "parte integrante dell'animo umano", anche se da parte dei politici italiani "al momento non c'è comprensione del fenomeno".

La kermesse di protesta all'Opera di Roma

Nel frattempo non si arrestano le contestazioni del comparto, e ieri sera c'è stata una kermesse musicale al teatro dell’Opera di Roma, a cui hanno già aderito elementi dell'orchestra e del coro dell'Accademia di Santa Cecilia, del Maggio Musicale Fiorentino e del Teatro San Carlo di Napoli.
“Vista la situazione non possiamo far altro che proseguire con scioperi e proteste. Per il 17 maggio stiamo organizzando inoltre una grande iniziativa a Roma con tutte le forze parlamentari e le amministrazioni locali di destra e di sinistra per creare una opinione pubblica sulla questione”.
Conti, cosa contestate al provvedimento?
“È un decreto che punta alla destrutturazione del lavoro e affronta solo un aspetto: l’attacco alla contrattazione nazionale di II livello. Sono tre anni che con l’Agis discutiamo, senza esito, del contratto nazionale di lavoro e ora vengono a dirci che il nostro referente è diventato l’Aran (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni)”.

Quindi la vostra opposizione è di natura contrattuale?
“Assolutamente sì, visto che siamo di fronte a un tentativo di destrutturare l’occupazione, reintroducendo di fatto la legge 43 che eravamo riusciti ad abolire durante il mandato di Rutelli. Le spiego meglio: gli stipendi dei lavoratori degli enti sinfonici di II livello (musicisti, maestranze, tecnici e amministrativi) vengono erogati in parte dal contratto nazionale e per l’altra dal contratto aziendale con i rispettivi teatri. Ecco, il decreto prevede, a partire dal 1 gennaio 2011, il divieto delle attività autonome per il personale del comparto (che saranno possibili solo dietro autorizzazione del sovrintendente), vale a dire tagli sugli stipendi del personale che dovranno attenersi alla sola contrattazione nazionale. Mettiamo un musicista percepisca in totale 2mila euro, il suo compenso verrebbe decurtato del 50-60%. Misura incostituzionale che ci costringe a ricorrere alla Consulta giuridica”.

Si parla anche di blocco delle assunzioni…
“Sì, il cosiddetto turn over, ovvero il blocco delle assunzioni per tre anni, nonostante le piante organiche siano funzionali all’attività del teatro, e perciò depositate presso il ministero e, soprattutto, per il 60% agganciate ai soldi del Fondo unico dello spettacolo (Fus). Il decreto prevede la sostituzione solo del personale venuto a mancare nell’ultimo anno. Le faccio un esempio: se in tre anni vanno via 10 persone e solo nell’ultimo anno una sola, verrà integrata quest’ultima, con un organico che rimane scoperto di 9 persone”.

Quali soluzioni proponete?
“Vogliamo parlare con persone competenti che non ragionano per slogan. Qui nessuno risponde a nessuno e basterebbe che il sovrintendente e i Consigli di amministrazione dei teatri rispondessero in solido sui buchi di bilancio delle fondazioni. Chiediamo maggiore competenza da parte dei sovrintendenti in carica, che vengano scelti in base a bandi nazionali e internazionali. A parte Lissner – che abbiamo importato dall’Opera di Parigi – in giro non vediamo nessuno all’altezza della situazione. Sono almeno 10 anni che ci facciamo promotori di una vera riforma, immaginando un futuro per i teatri lirici che sono un dato identitario del nostro Paese”.

Ne è così sicuro? Eppure ieri su La Stampa è uscito un articolo in cui da un confronto con gli altri teatri europei, i nostri ne uscivano con le ossa rotta in quanto ad attività e produzione…
“I problemi esistono, non li neghiamo. E siamo convinti che solo la stabilità occupazionale può garantire la qualità produttiva. Il gap non dipende da chi lavora ma da chi amministra le fondazioni”.

Non crede che l’ingresso di capitali privati, come auspicato da Bondi, non potrà che introdurre nuove risorse nel settore?
“I capitali privati sono già entrati nei teatri con la trasformazione degli enti lirici in fondazioni. Servirebbero maggiori iniziative di supporto, anche in termini fiscali. Non siamo contro il riconoscimento di alcune eccellenze, come la Scala di Milano e l’Accademia di Santa Cecilia a Roma, ma anche le altre fondazioni devono essere garantite e deve essere rispettato un maggiore equilibrio tra partecipazioni pubbliche e private”.

Però mi scusi, è anche vero che i teatri sinfonici “succhiano” da soli almeno il 60% del Fus…
“E’ un gioco truccato in partenza, visto che siamo l’unico paese civile che spende per la cultura lo 0,23% del Pil. Le faccio di nuovo un esempio: io sono una fondazione e faccio una programmazione triennale sulla base di un certo budget. Se ogni anno il governo di centrodestra mi taglia il Fus, danneggia in corso d’opera il mio piano di lavoro, tagliando fondi che ho già speso. Il problema è a monte: non si investe nella cultura. Gli altri paesi, nonostante siano in crisi come noi, hanno investito in istruzione, innovazione, ambiente e cultura. Da noi si taglia soltanto, e dobbiamo pure dire che va tutto bene”.

Monia Cappuccini
http://www.ilsalvagente.it/Sezione.jsp?titolo=Teatri%20lirici,%20oggi%20l%27incontro%20della%20verit%C3%A0%20con%20Bondi&idSezione=6801

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